Senza registrazione Dop e Igp esclusa la concorrenza sleale se si utilizza il nome
La reputazione del prodotto, dovuta alle caratteristiche di qualità riconducibili all'area geografica, non garantisce ai produttori della zona il diritto all'uso esclusivo del nome. È necessario che il prodotto sia stato registrato in sede europea come Dop o Igp, affinché il nesso tra caratteristiche qualitative del prodotto e la sua origine geografica possa configurare un atto di concorrenza sleale, in caso di utilizzo del nome da parte di produttori collocati al di fuori dell'area geografica di riferimento.
La Cassazione, con la sentenza 2828/2015, ha così legittimato l'uso da parte della società Kraft del nome «salame felino», a suo tempo contestato dai produttori che avevano promosso la registrazione dell'Igp «salame felino». Va precisato che la decisione produce effetto solo per il periodo anteriore alla registrazione, avvenuta nel marzo 2013, con il regolamento n. 186/2013, che identifica ora il luogo di produzione nel territorio amministrativo della provincia di Parma, con la conseguenza di consentire ai soli produttori di questa zona l'uso della denominazione.
La questione pregiudiziale - La decisione è guidata dall'interpretazione della Corte di giustizia dell'unione europea, interpellata su una questione pregiudiziale dalla stessa Cassazione. La normativa nazionale, secondo la Corte di giustizia, deve limitarsi a tutelare la corrispondenza tra nome e origine geografica. Al contrario, l'effetto promozionale di garantire ai consumatori che i prodotti presentino qualità o caratteristiche determinate è riservato alle denominazioni registrate come Dop e Igp.
Di conseguenza, la Suprema corte esclude, in prima battuta, che, nella fattispecie, ricorrano gli estremi di un atto di concorrenza sleale derivante da un collegamento tra origine e qualità del prodotto. Nel contempo, però, lascia aperta la strada alla possibilità di configurare una violazione della concorrenza quando l'indicazione geografica semplice è comunque ingannevole per i consumatori, indipendentemente dalle caratteristiche qualitative che il prodotto presenta in relazione al territorio di produzione: cioè quando l'indicazione sul prodotto rimanda a una provenienza geografica diversa dall'effettivo luogo di origine.
L'origine della pronuncia - La sentenza della Cassazione pone fine a una vicenda risalente al gennaio del 1998, che vede contrapposte l'associazione che riunisce i produttori per la tutela del «salame felino» e la società Kraft insieme ad Assica, l'associazione industriali delle carine dei salumi, di cui Kraft è membro, e che, in precedenza, si era opposta a un disciplinare troppo restrittivo per la registrazione della Igp (per una approfondita ricostruzione della questione si veda Prete, «La protezione nazionale delle indicazioni geografiche semplici. La saga del Salame Felino: ultimo atto», in www.rivistadirittoalimentare.it 2/2014). Sosteneva, infatti, l'associazione per la tutela del salame felino che la denominazione, riferita alla città di Felino, sita nella provincia di Parma, era nota ai consumatori per il metodo tradizionale di lavorazione e le qualità del prodotto, riconducibili all'area geografica di origine e lamentava la violazione delle norme sulla concorrenza per l'avvenuta commercializzazione di un salame felino prodotto industrialmente in Lombardia da Kraft.
Il tribunale di primo grado e la Corte di appello avevano dato ragione ai produttori locali, affermando che il diritto a tutelare la denominazione, non ancora protetta come Igp, trovava fondamento nell'articolo 31 del Dlgs 198/1996: disposizione - ora confluita negli articoli 29 e 30 del codice della proprietà industriale - che tutela le indicazioni geografiche quando le loro qualità, reputazione o caratteristiche derivano dal nesso con l'origine geografica, e sanziona come atto di concorrenza sleale l'uso ingannevole di tali indicazioni.
Quando la vicenda giunge in Cassazione, la Corte decide di rimettere la questione all'interpretazione della Corte di giustizia, chiedendo se e in che termini il regolamento europeo a tutela delle Dop e Igp attribuisca un regime di protezione nazionale a una denominazione ancora priva di registrazione comunitaria. A fronte dell'interpretazione dei giudici europei - che, nella sentenza dell'8 maggio 2014, causa C-35/13, in linea con una consolidata giurisprudenza, ammettono la protezione nazionale per le sole indicazioni geografiche semplici, prive cioè di un nesso con le caratteristiche qualitative dei prodotti - la Cassazione dà una lettura delle disposizioni nazionali tale da escludere una tutela dei prodotti con indicazioni di qualità, fondata sulla reputazione acquisita dal prodotto e sul legame tra le sue caratteristiche e l'origine del territorio di produzione.
I margini per la protezione delle indicazioni geografiche - L'Unione europea ha inteso incanalare le forme di tutela previste per le denominazioni fondate sulla qualità, la reputazione e le caratteristiche dei prodotti nella registrazione dei segni Dop e Igp. Sul mercato di uno Stato membro, a detta della Corte di giustizia, «il regime di protezione che può applicarsi a una denominazione geografica priva di registrazione comunitaria è quello previsto per le denominazioni geografiche concernenti i prodotti per i quali non esiste un nesso particolare tra le loro caratteristiche e la loro origine geografica». La normativa nazionale non deve però compromettere gli obiettivi del regolamento né ostacolare la circolazione delle merci: le restrizioni possono essere giustificate per esigenze di interesse generale, come la tutela dei consumatori e la concorrenza leale, purché proporzionate e non discriminatorie (sentenza in causa C-31/13, pag. 31-36).
In realtà, soprattutto per i prodotti agroalimentari, la distinzione tra indicazione geografica semplice e indicazione geografica, riferita alle caratteristiche qualitative, è labile.
L'ingannevolezza riferita alla riconduzione dell'origine territoriale a una certa area geografica presuppone, infatti, inevitabilmente un nesso tra l'origine geografica e le caratteristiche del prodotto: essa non può che tradursi in un valore che il consumatore riconduce al territorio di origine e riferisce al prodotto medesimo.
È tuttavia evidente che l'obiettivo perseguito dalla Corte di giustizia è quello di ridurre i margini degli Stati membri nel gestire autonomamente una materia, quella della valorizzazione dei prodotti di qualità, suscettibile di creare ostacoli al mercato unico e che, quindi, si vuole far confluire nella regolamentazione europea, in cui la procedura di registrazione include il contraddittorio con gli altri stati membri e una valutazione di una pluralità di situazioni incompatibili con il mercato interno.
La tutela nazionale di indicazioni non registrate - Il compito della Cassazione, in seguito alla sentenza della Corte di giustizia, è quello di verificare se la normativa interna applicabile alle denominazioni geografiche è compatibile con il diritto europeo e quindi se ricorrono gli estremi per un atto di concorrenza sleale.
L'articolo 31 del Dlgs 198/1996 (ora sostituito dagli articoli 29 e 30 del Dlgs 30/2005) si riferisce ai prodotti originari di determinate regioni e le cui qualità, reputazione e caratteristiche sono dovute esclusivamente o essenzialmente all'ambiente geografico: definizione che - sottolinea la Cassazione - di fatto, coincide con quella del regolamento europeo. Questa coincidenza è considerata il primo ostacolo, secondo la Corte, a definire un ambito di applicazione come quello delineato dalla Corte europea.
Il solo richiamo alla reputazione del prodotto costituisce, poi, il secondo ostacolo ad ammettere una protezione nazionale della indicazione geografica, laddove essa sostituisca il legame con l'attuale origine del prodotto.
Il tribunale di primo grado aveva fondato sulla reputazione acquisita presso i consumatori la tutela nazionale. Ebbene, la Corte, nel momento stesso in cui esclude che la reputazione acquisita dal prodotto possa giustificarne la protezione come mera indicazione geografica, riconduce questo aspetto al piano della (sola) tutela di fonte europea: come dire che, accertata la reputazione del prodotto derivante dal luogo di origine, è inevitabile che la fattispecie sia destinata a essere tutelata dal diritto europeo, ma in questo caso, sarà sempre subordinata all'avvenuta registrazione come Dop o Igp.
La soluzione sembra allora avviarsi verso una strada obbligata, nel senso di escludere un margine di tutela alle produzioni in corso di registrazione. Ma la soluzione non è così netta. La Corte, infatti, enuclea due distinte ipotesi di concorrenza sleale, previste dall'articolo 31: la prima, riguarda la semplice appropriazione di un nome che definisce una diversa area geografica, la seconda, si riferisce a prodotti che richiamano il nome della zona geografica, con l'intento di richiamare le caratteristiche qualitative proprie di produzioni tipiche di quella zona. E afferma che, mentre la seconda ipotesi è senz'altro in conflitto con i parametri individuati dalla Corte di giustizia, la prima è pienamente compatibile con una tutela nazionale delle indicazioni geografiche.
Non sarà più opportuno, quindi, come è accaduto per la tutela del salame felino, fondare esclusivamente sulla reputazione del prodotto la tutela dell'indicazione geografica: elemento che serviva, nel contesto della causa in questione, a superare l'obiezione che il prodotto fosse ormai fabbricato anche in altri luoghi. Si dovrà, piuttosto, dimostrare la sussistenza di un atto di concorrenza sleale, in ordine alla veridicità dell'uso del nome, in riferimento «all'indicazione sul prodotto di una provenienza geografica diversa dall'effettivo luogo di origine». Questo elemento, peraltro, è di per sé alla base di una successiva ed eventuale caratterizzazione del prodotto in termini di qualità di stampo europeo, poiché il legame con l'area geografica costituisce il primo presupposto per la registrazione del nome, noto altresì per le sue caratteristiche qualitative.
La tutela transitoria prevista dal regolamento - Al di là dello strumento di tutela delle indicazioni geografiche di cui all'articolo 31 del Dlgs 198/1996, è lo stesso regolamento europeo, qualora sia stata avviata la procedura di registrazione, a prevedere una protezione nazionale transitoria delle indicazioni geografiche. Si tratta, in questo caso, di un provvedimento specifico, emanato dallo Stato membro, con efficacia esclusivamente nazionale, che cessa i suoi effetti nel momento in cui il segno distintivo sia registrato a livello Ue (perché in tal caso subentra la più ampia tutela definita dal regolamento europeo), ovvero nel caso di ritiro della domanda o nell'ipotesi in cui sia respinta.
In attesa della registrazione del segno distintivo Dop o Igp, il ricorso alle disposizioni generali sulla protezione delle indicazioni geografiche, nei termini delineati dalla Cassazione, rappresenta perciò uno strumento di tutela, cui i produttori possono appellarsi qualora non sia stato emanato un provvedimento nazionale di protezione transitoria. Ciò accade, ad esempio, quando sia ancora in corso la fase preliminare di definizione dei contenuti del disciplinare, eppure ricorrano gli estremi di una tutela del nome geografico destinato a essere registrato a livello europeo.
Corte di cassazione – Sezione I civile – Sentenza 12 febbraio 2015 n. 2828