Sì al sequestro dei costumi di Spiderman, violano i diritti della Marvel
La Corte di cassazione, con la sentenza n. 38797 depositata oggi, ha giudicato inammissibile il ricorso contro il sequestro
La riproduzione in ogni forma dei costumi o delle immagine dei super eroi della Marvel – l'"Uomo ragno", "Hulk", gli "Avenger", "Thor" ecc. - per quanto ormai parte dell'immaginario collettivo, resta coperta da copyright. Rischia dunque il sequestro e la condanna per ricettazione e introduzione nello Stato e commercio di prodotti con segni falsi il rappresentante legale della società che importa costumi di "Spiderman" apponendovi il proprio marchio.
Pur non entrando nel merito della questione, la Corte di cassazione, con la sentenza n. 38797 depositata oggi, ha giudicato inammissibile la domanda di dissequestro presentata del socio unico di una Srl.
Dopo che il Tribunale di Napoli, nel dicembre 2022, aveva convalidato il sequestro d'urgenza operato dall'UPF Dogane di Napoli 1 Sezione Antifrode, disponendo il sequestro probatorio di 2547 costumi da "Uomo Ragno", il proprietario della azienda ha infatti proposto ricorso in Cassazione in qualità di terzo interessato e socio unico affermando che non c'era stata alcuna contraffazione del marchio della Marvel in quanto sui costumi di Spiderman "era regolarmente apposto il marchio della sua ditta, né, d'altro canto, la realizzazione di un costume con le fattezze del supereroe, personaggio di fantasia, non sarebbe identificativa di alcun produttore e a nulla rileverebbe la registrazione del personaggio nel sistema EUIPO".
La II Sezione penale ricorda che a seguito del sequestro, la rappresentante legale della società è stata iscritta nel registro notizie di reato ed è sottoposta a indagini per i reati previsti agli artt. 648 e 474 del cod. pen. E che, dunque, il ricorso è inammissibile "in quanto presentato da soggetto non legittimato".
L'art. 354 cod. proc. pen., prosegue la decisione, prevede che avverso il decreto di sequestro probatorio possano proporre richiesta di riesame, e conseguentemente ricorso per cassazione, la persona sottoposta a indagini e il suo difensore, la persona alla quale le cose sono state sequestrate e quella che ha diritto alla restituzione delle stesse.
Nel caso specifico, invece, il ricorrente benché sia socio unico della s.r.l., proprietaria dei beni, "in assenza di una rappresentanza formale della società, non risulta essere il soggetto giuridico titolare del diritto alla restituzione di quanto in sequestro né, d'altro canto, lo stesso ha dedotto di avere un altro interesse concreto in tal senso, tanto che allo stato non può neanche in astratto essere qualificato come terzo interessato".
Niente da fare dunque per l'imprenditore che è stato anche condannato al pagamento delle spese processuali, nonché, "valutati i profili di colpa nella determinazione della causa di inammissibilità", al versamento della somma di tremila euro a favore della cassa delle ammende.