Civile

Sindaci, è pienamente legittimo il divieto del terzo mandato

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di Andrea Alberto Moramarco

Il divieto di ricoprire la carica di sindaco per tre mandati consecutivi, posto dall'articolo 51 comma 2 del Dlgs 267/2000, non presenta profili di incostituzionalità in quanto risponde all'esigenza di evitare clientelismi e rendite di posizione dovute ad una eccessiva durata consecutiva dell'incarico di sindaco. Lo ha affermato la Cassazione con la sentenza 6128 depositata ieri.

La vicenda - La decisione si riferisce alle elezioni amministrative del 2013 di un piccolo comune abruzzese vinte da una candidata che era già stata eletta sindaco nelle due tornate elettorali precedenti, svoltesi nel 2004 e nel 2008. Il primo di tali mandati elettorali non si era concluso alla scadenza naturale prevista perché alcuni consiglieri comunali avevano rassegnato le proprie dimissioni, cui aveva fatto seguito il commissariamento per circa tredici mesi del comune; il secondo mandato si era svolto, invece, regolarmente.
Una volta vinte per la terza volta consecutiva le elezioni per la carica di primo cittadino, il risultato elettorale veniva impugnato dinanzi ai giudici sulla base della regola posta dall'articolo 51 comma 2 del testo unico degli enti locali che vieta l'immediata rieleggibilità per il sindaco che ha ricoperto tale carica per due mandati consecutivi. Il sindaco eletto, tuttavia, riteneva che non c'erano i presupposti per l'applicabilità di questa disposizione, non potendosi considerare consecutivi il primo ed il secondo mandato vista la frapposizione tra i due cicli della gestione commissariale.

La pretesa incostituzionalità della norma - Dopo l'alternanza dei giudizi nei gradi di merito, il caso arriva all'attenzione della Cassazione. Dinanzi alla Corte il sindaco afferma la tesi che il commissariamento avrebbe fatto venir meno la continuità dei due mandati e dunque reso inapplicabile la norma al caso concreto. E, inoltre, lamenta l'incostituzionalità della disposizione in quanto il divieto di rielezione per i sindaci uscenti dopo due mandati consecutivi, dunque soggetti di comprovata esperienza per tale carica, sarebbe contrario al principio di uguaglianza, causa di discriminazione nel godimento del diritto di elettorato passivo, non previsto in alcune regioni a statuto speciale e per altre cariche politiche, nonché contrario al principio di efficienza dell'azione amministrativa.

La ratio della disposizione - In sede di legittimità non passa però la tesi del sindaco. I giudici ritengono che la gestione commissariale del comune non incide sull'operatività della norma, il cui divieto opera sempre ad eccezione dell'ipotesi prevista dal comma 3 dell'articolo 51, ovvero «se uno dei due mandati precedenti ha avuto durata inferiore a due anni, sei mesi e un giorno, per causa diversa dalle dimissioni volontarie». Per i giudici, poi, la norma non presenta profili di illegittimità in quanto la sua ratio è quella di «evitare l'alterazione della par conditio alle elezioni successive alla seconda e le rendite di posizione nelle funzioni di governo locale in caso di successione reiterata del candidato che abbia già compiuto un doppio mandato consecutivo, anche perché è allora che può profilarsi un più incisivo vantaggio al fine di conseguire di nuovo la carica di sindaco».
Ed ancora, prosegue la Corte, il divieto stabilito nella norma intende favorire un ricambio delle persone chiamate a ricoprire un ruolo importante e si pone come garanzia del diritto di elettorato attivo per tutti i cittadini «impedendo la permanenza per i periodi troppo lunghi nell'esercizio del potere di gestione degli enti locali, che possono dar luogo ad anomale espressioni di clientelismo».

Corte di Cassazione – Sezione I civile – Sentenza 26 marzo 2015 n. 6128

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