Smart-working: la panoramica internazionale. Il nuovo studio di Rödl & Partner e LHH
Ne emerge un quadro estremamente variegato che contempla situazioni in cui i Paesi hanno istituito normative specifiche e situazioni in cui ci si rifà a precedenti impianti legislativi, Paesi in cui un accordo individuale è indispensabile e altri in cui non lo è, dove è necessario informare il sindacato e dove invece non è un obbligo come, ad esempio, gli Emirati Arabi in cui non c'è una rappresentanza organizzata dei lavoratori
Qual è lo stato dell'arte della normativa sullo smartworking in Italia e nel mondo? È possibile in Italia, Usa, India, Portogallo o Lettonia ridurre lo stipendio ad un lavoratore perché è in smartworking? La Cina tutela i lavoratori agili e come li controlla rispetto agli altri Paesi? In quale Paese per i dipendenti in smartworking sono previsti rimborsi e strumentazioni e in quali no? Dove è possibile per i dipendenti appellarsi al diritto alla disconnessione?
A queste domande risponde lo studio voluto da Rödl & Partner in collaborazione con LHH che analizza attraverso 11 quesiti lo stato dell'arte, le principali similitudini e le differenze che sussistono nella pratica e nella normativa dello smartworking in 21 Paesi del mondo tra cui, Italia, Usa, Cina, India, Germania, Francia, Spagna, Finlandia, Danimarca, ecc..
Ne emerge un quadro estremamente variegato che contempla situazioni in cui i Paesi hanno istituito normative specifiche e situazioni in cui ci si rifà a precedenti impianti legislativi, Paesi in cui un accordo individuale è indispensabile e altri in cui non lo è, dove è necessario informare il sindacato e dove invece non è un obbligo come, ad esempio, gli Emirati Arabi in cui non c'è una rappresentanza organizzata dei lavoratori.
Lo studio affronta anche la normativa sul capitolo retribuzione che è pressoché trattato allo stesso modo in tutti i Paesi oggetto dell'analisi: la regola di base in ogni Paese, infatti, impedisce qualunque forma di discriminazione (quindi anche la riduzione dello stipendio) per il solo fatto che un dipendente operi in regime di smartworking.
Diversa è la questione relativa sia al luogo prescelto e alla libertà da parte del lavoratore di modificarlo, sia la dotazione in termini di strumentazione che deve essere (o non essere) fornita al lavoratore.
Si passa da alcuni Paesi come la Cina che vietano o ostacolano la possibilità di svolgere da un Paese estero il lavoro, a Paesi più tolleranti come ad esempio Francia, Croazia, India fino a situazioni in cui espletare le proprie mansioni all'estero è possibile a patto di stabilirne le modalità in un accordo tra le parti.
Alcuni Paesi pongono invece alcune restrizioni per problematiche fiscali, contributive o per il godimento dei servizi di previdenza sociale in patria.
Diversificato, seppure con un generale accento sul rispetto della privacy, il capitolo sul controllo della prestazione lavorativa da parte delle aziende che va dalla possibilità di monitorare la posta elettronica alla raccolta di dati sull'orario di lavoro fino al controllo in sede (cioè al domicilio del dipendente) previo accordo tra le parti.
"Uno studio del genere – ha commentato Luca Semeraro Amministratore Delegato di LHH Recruitment Solutions Sud Europa – consente di dare uno sguardo a volo d'angelo sulla situazione in alcuni dei più importanti Paesi su uno dei fenomeni più rilevanti in ambito HR degli ultimi anni. È stato subito evidente che lo strumento dello smartworking, entrato a far parte della vita di imprese e lavoratori in un momento di emergenza, era destinato a restare. Le forme sono le più disparate da Paese a Paese e analizzarne le differenze aiuta a costruire una formulazione sempre migliore di una normativa che ha un fortissimo impatto sulla vita delle persone."
"Lo smart-working è il più incredibile esperimento sociale su larga scala dell'epoca della globalizzazione e sta di fatto diventando il tema centrale per le organizzazioni, mettendo a nudo sensibilità ed esigenze diverse, implicazioni economiche e modelli culturali dominanti difficili da sradicare. I risparmi nei costi fissi derivati dall'avere meno persone in ufficio si sono rivelati sostanziali, soprattutto in una fase difficile come quella che stiamo vivendo. Di contro, non sembrano esserci motivazioni altrettanto forti e concrete dietro alla richiesta di riportare tutti in ufficio, al di là dell'indubbia maggiore facilità nella gestione dell'onboarding in presenza o delle considerazioni sul coinvolgimento dei dipendenti o sulla condivisione della cultura aziendale. Certo è che lo smart-working pone una sfida forte alla leadership, che deve adattare le proprie modalità a uno scenario del tutto inedito e, a tratti, rivoluzionario. Capire come questa rivoluzione sia stata realizzata nel mondo è un ottimo modo per capire il mondo di oggi e soprattutto di domani" - ha dichiarato Giovanni Zoja Avvocato, Partner di Rödl & Partner.
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