Penale

Sorveglianza speciale, il divieto di possedere uno smartphone non è anacronistico

Lo afferma la Corte di appello di Napoli con la sentenza n. 4936/2021

di Andrea Alberto Moramarco

Il telefono cellulare rientra a pieno titolo nella nozione di "apparato di comunicazione radio trasmittente" il cui possesso o utilizzo può essere vietato dal Questore alle categorie di persone socialmente pericolose che siano state definitivamente condannate per delitti non colposi. La norma che consente al Questore di imporre tale divieto proibisce anche il solo possesso del telefono per la sua ritenuta pericolosità in chiave preventiva, a prescindere dall'effettivo utilizzo che se ne possa fare. Questo è quanto affermato dalla Corte di appello di Napoli nella sentenza n. 4936/2021. Per i giudici non può essere accolta, perché illogica e disancorata sul piano normativo, la tesi difensiva, per la quale si tratta di un divieto anacronistico.

Il caso
Protagonista della vicenda è un uomo sottoposto alla misura di prevenzione della sorveglianza speciale con obbligo di soggiorno nel comune di residenza e dell'avviso orale del Questore, il quale veniva sorpreso nel capoluogo campano in assenza di qualsiasi autorizzazione. All'atto del controllo l'uomo veniva trovato, inoltre, nella disponibilità di uno smartphone, in violazione di una specifica prescrizione impostagli con decreto del Questore, ai sensi dell'articolo 3 comma 4 del Dlgs n. 159/2011 (Codice delle leggi antimafia e delle misure di prevenzione). Nello specifico, tale divieto era motivato sulla scorta di una precedente violazione della misura di prevenzione della sorveglianza speciale, «da cui scaturiva la necessità di maggiori limitazioni, con il divieto di utilizzare qualsiasi apparato di comunicazione idoneo a facilitare contatti con terzi».

I dubbi sull'attualità del divieto
Già condannato in primo grado per il reato di cui all'articolo 76 comma 2 del Dlgs n. 159/2011, per aver violato appunto la misura di prevenzione della sorveglianza speciale, l'imputato censura la parte della motivazione relativa alla responsabilità per la violazione del divieto di possedere un telefono. Tale divieto, sostiene la difesa, «aveva ragion d'essere nel passato, quando i telefoni mobili non erano facilmente intercettabili e quindi quando il loro possesso era idoneo a consentire e/o agevolare la commissione di reati, laddove attualmente essi, largamente diffusi, possono essere agevolmente oggetto di intercettazione». Semmai, si aggiunge, un loro divieto non può essere generalizzato, ma limitato in relazione a «fattispecie specifiche di reati commessi di regola attraverso il loro utilizzo».

La finalità del divieto
Per la Corte d'appello tali argomentazioni non hanno pregio. Innanzitutto, affermano i giudici, il telefono cellulare rientra tra gli apparecchi radiotrasmittenti il cui utilizzo può essere vietato dal Questore in virtù dell'articolo 3 comma 4 del Dlgs n. 159/2011, costituendone, anzi l'evoluzione più attuale. Lo smartphone, infatti, «non solo è in grado di trasmettere, ma ha anche ulteriori funzioni quali la capacità di ricevere e di operare con una rete di telecomunicazioni complesse come la rete di telefonia radiomobile che ha lo scopo di garantire le comunicazioni tra gli utilizzatori».
Ciò posto, per il Collegio la tesi che fa leva sull'anacronismo del divieto e sulla intercettabilità delle conversazioni telefoniche «è priva di qualsiasi conforto nel testo normativo ed è infondata sul piano logico». Difatti, il divieto è posto «a prescindere dalla possibilità di procedere ad intercettazione e senza alcun riferimento alla tipologia dei reati da prevenire». La finalità del divieto del possesso del telefono - così come di tutti gli oggetti indicati dalla norma (apparati di comunicazione radiotrasmittente, radar e visori notturni, indumenti e accessori per la protezione balistica individuale, mezzi di trasporto blindati o modificati) - è solo quella di sottrarsi ai controlli di polizia. Trattasi, cioè, di un divieto imposto in chiave preventiva, a prescindere dall'effettivo utilizzo che se ne possa fare.

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