Professione e Mercato

Sospeso l'avvocato che autentica una procura falsa, anche se c'è il consenso del cliente

Per il Cnf la condotta è totalmente in contrasto con la deontologia professionale: l'avvocato non può mai sottoscrivere la procura al posto del cliente

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di Marina Crisafi

Assolutamente sanzionabile il comportamento dell'avvocato che autentica una falsa procura alle liti. E non rileva che c'era il consenso del cliente perché l'avvocato non può mai sottoscrivere la procura al posto dell'assistito. È quanto afferma il Consiglio nazionale forense nella recente sentenza n. 59/2021, con cui è stata confermata la sanzione della sospensione dall'attività professionale per due mesi nei confronti di un legale.

La vicenda
Nel caso di specie, veniva esercitata azione penale nei confronti dell'avvocato (dietro denuncia querela del cliente) incolpato di aver apposto falsamente la firma dell'assistito in calce al mandato per adire il giudice del lavoro. Inoltre, denunciava il cliente, che il professionista aveva incassato le competenze legali, rilasciando specifica dichiarazione liberatoria, senza però emettere la documentazione fiscale.
Ricevuta notizia della pendenza di procedimento penale a carico dell'avvocato, il Consigglio di disciplina apriva procedimento disciplinare.
Il professionista, dal canto suo, depositava sentenza di assoluzione, confermando tuttavia l'apposizione della falsa sottoscrizione.
Il Consiglio di disciplina non raggiungeva la prova degli addebiti, ma, in forza della dichiarazione confessoria e del fatto che la sentenza di assoluzione si fondava non già sulla mancata commissione del fatto, bensì sull'intervenuta depenalizzazione della condotta, irrogava la sanzione della sospensione per due mesi.

Il ricorso
L'avvocato non ci sta e ricorre al CNF lamentando innanzitutto l'intervenuta prescrizione dell'azione disciplinare.
Lamenta altresì, l'insussistenza della violazione disciplinare, in quanto risulterebbe dalla sentenza di assoluzione penale l'assenza di dolo. Assenza, peraltro, a suo dire, riconosciuta anche dal Cdd.
In subordine, chiede al Consiglio, la rimodulazione della sanzione in quella meno afflittiva della censura.

Nessuna prescrizione
Per il Cnf, però, l'eccezione della prescrizione non può trovare accoglimento.
Richiamando il più recente e consolidato orientamento giurisprudenziale, sia di legittimità che domestico, ricorda infatti il Consiglio: "Agli effetti della prescrizione dell'azione disciplinare di cui all'art. 51 R.D.L. n. 1578/1933 (ratione temporis applicabile), occorre distinguere il caso in cui il procedimento disciplinare tragga origine da fatti punibili solo in tale sede, in quanto violino esclusivamente i doveri di probità, dignità, correttezza e dirittura professionale, dal caso in cui il procedimento disciplinare (che ai sensi dell'art. 44, co. 1, del citato R.D.L. è obbligatorio) abbia luogo per i fatti costituenti anche reato e per i quali sia stata iniziata l'azione penale".
Pertanto, mentre nella prima ipotesi il "termine di prescrizione decorre dal giorno della consumazione del fatto, nella seconda il termine predetto non può decorrere che dalla definizione del processo penale, ossia dal giorno in cui la sentenza penale diviene irrevocabile, restando irrilevante il periodo decorso dalla commissione del fatto all'instaurarsi del procedimento penale" (cfr. Cass. SS.UU., n. 140/2018).
E ancora: "Qualora il procedimento disciplinare a carico dell'avvocato riguardi un fatto costituente reato per il quale sia stata esercitata l'azione penale, il termine di prescrizione dell'azione disciplinare inizia a decorrere solo dal passaggio in giudicato della sentenza penale, prescindendosi dalla sospensione del procedimento disciplinare e restando irrilevante il periodo decorso dalla commissione del fatto alla instaurazione del procedimento penale" (cfr. CNF, n. 42/2019).

L'avvocato non può mai firmare la procura al posto del cliente
Nulla da fare per l'avvocato incolpato neanche sul fronte dell'insussistenza della violazione disciplinare per assenza di dolo, riconosciuta anche dal Cdd.
Secondo il collegio infatti, il Cdd non ha riconosciuto quanto sostenuto dalla ricorrente, avendo invece, "ritenuto la sussistenza dell'illecito sulla base del rilievo che mai l'avvocato possa sottoscrivere la procura in luogo del cliente, nemmeno nel caso di espressa autorizzazione di quest'ultimo e nemmeno quando non ne discendano effetti pregiudizievoli per il medesimo".
Sul punto, conclude il Consiglio riportandosi ai precedenti approdi giurisprudenziali: "E' totalmente in contrasto con la deontologia professionale il comportamento dell'avvocato che, anche per fini estranei alla professione in senso stretto, utilizzi documenti che sappia essere falsi o, peggio, che abbia lui stesso falsificato" (ex multis Cnf, n. 22/2019).
Per cui la motivazione resa dal Cdd è da ritenersi esaustiva, logica e pienamente condivisibile e il ricorso va rigettato.

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