Sospeso per quattro mesi l'avvocato inerte che fa prescrivere il diritto al risarcimento
Per il Cnf la tardiva rinuncia al mandato, dopo tre anni, non è sufficiente a scagionarlo
Il Consiglio nazionale forense conferma la sanzione della sospensione per quattro mesi del professionista che ometta di informare il cliente sullo stato della causa e, di conseguenza, sul relativo esito, venendo così meno ai doveri di dignità, correttezza e decoro della professione in violazione degli articoli 38, 40 e 42 c.d. (ora, rispettivamente, 26, 27 e 33 Ncdf). Per il Cnf (pres. Greco, rel. Di Maggio), sentenza n. 226 del 26 novembre 2022 il legale ha posto in essere un comportamento deontologicamente scorretto in quanto il rapporto fiduciario, quale è quello che lega l'avvocato al suo cliente (articolo 35 Cod. Deont. Forense, ora 11 ncdf), non può tollerare alcun comportamento che violi un aspetto essenziale della "fiducia", consistente nella completezza e verità delle informazioni destinate all'assistito.
La prolungata inerzia del legale che aveva omesso di dar corso all'incarico ricevuto, nonché di procedere con le dovute informative, aveva determinato irrimediabilmente, per intervenuta prescrizione, il diritto della ricorrente ad ottenere il risarcimento danni per responsabilità professionale di un altro avvocato, peraltro già condannato dall'Ordine degli Avvocati di Ascoli, colpevole di non aver riassunto la causa di divorzio nei confronti dell'ex marito. La causa era così proseguita per le sole determinazioni relative all'assegno di mantenimento, determinando l'estinzione del diritto ad una quota della pensione di reversibilità che era andata integralmente alla seconda moglie, "determinando così la restituzione all'INPDAT, ente erogatore, di circa 66.000,00 euro".
Nel ricorso il legale aveva negato ogni addebito, affermando, tra l'altro, di aver rassegnato l'incarico. Per il Collegio "è imprescindibile chiederci se la rinuncia (invero, scarna) all'incarico operata dall'incolpato a mezzo lettera a.r. del 22.7.2015, dopo tre anni dal conferimento (fattopacifico perché non contestato) valga ad esonerarlo da qualsiasi responsabilità". "Ciò – prosegue la sentenza - non appare, avuta considerazione di un duplice motivo: essa è inidonea ad obiettivamente ed univocamente deporre per la compiuta informazione in ordine a tutte le circostanze indispensabili per l'assunzione da parte del cliente di una decisione pienamente consapevole sull'opportunità o meno d'iniziare un processo o intervenire in giudizio"; inoltre l'avvocato ricorrente "avrebbe dovuto evidenziare le ragioni che sconsigliavano di intraprendere un giudizio nei confronti della Collega Senese … e che esso, contrariamente alla generica ed apodittica affermazione, avrebbe potuto (in ipotesi) trovare accoglimento sia in merito all'an che al quantum, sulla scorta della stessa documentazione messa a sua disposizione".
"Non v'è chi non veda nel ritardato, incompleto, scarno e fuorviante modo attraverso il quale il [ricorrente] ha rinunciato all'incarico la violazione dei precetti deontologici ascritti alla sua condotta". Tutte le altre circostanze, continua il Cnf, "sono semplici corollari che possono solo colorare la vicenda senza purtuttavia alterarne la sostanza, ancorché trovino conferma proprio attraverso l'apparente, ma insignificante, contraddittorietà delle deposizioni dell'esponente e del test".
Il Consiglio ha così confermato l'assunto del C.d.D. Aquilano secondo cui visti "i parametri di cui all'art. 21 del Codice Deontologico Forense, nonché la non trascurabile gravità della condotta complessivamente posta in essere e per un notevole lasso di tempo, dall'incolpato in danno della parte assistita: condotta sicuramente rilevante anche in termini di conseguente disdoro della classe forense, ritiene adeguata quella della sospensione dall'esercizio della professione per mesi quattro".