Amministrativo

Tar Lazio, no all'allineamento professionale tra magistrati togati e onorari

In assenza del superamento del concorso previsto per l'accesso alla magistratura secondo il Tar mancano le condizioni minime per l'equiparazione

di Pietro Alessio Palumbo

Con la sentenza 9484/2021 il Tar Lazio ha affrontato il ricorso di alcuni giudici onorari che chiedevano il riconoscimento della sussistenza di un rapporto di lavoro subordinato a tempo indeterminato alle dipendenze del ministero della Giustizia, alle stesse condizioni giuridiche, economiche, previdenziali ed assistenziali, dei magistrati ordinari. I ricorrenti precisavano di essere stati nominati magistrati onorari a seguito di selezione per titoli e di aver cominciato ad esercitare le funzioni in parola solo dopo aver prestato il giuramento di fedeltà alla Repubblica. Ma la motivazione principe del Tar è stata lapidaria: è pacifico e indiscusso che i ricorrenti sono stati nominati Giudici di Pace all'esito di un procedimento che nulla ha a che vedere con quello finalizzato alla nomina dei magistrati ordinari; a partire dal fatto che essi non hanno sostenuto il concorso specificamente previsto per l'accesso alla magistratura. Mancano in buona sostanza le "condizioni minime" affinché il ministro della Giustizia possa nominare i ricorrenti magistrati ordinari.

Il possibile contrasto con il diritto europeo
A ben vedere la domanda formulata dai ricorrenti era finalizzata ad ottenere lo status di magistrato ordinario sebbene al solo fine di reclamare le differenze retributive e contributive. Ma secondo il Tar a tal fine i ricorrenti avrebbero dovuto dimostrare la sussistenza di "tutte" le condizioni legittimanti l'accesso in magistratura ordinaria. Cosa che invece non hanno fatto e che secondo il giudice amministrativo non era loro possibile. E neppure si pone sul tappeto un possibile contrasto con il diritto europeo, dal momento che per sostenere la richiesta dei ricorrenti il Tar avrebbe dovuto disapplicare, non le norme che disciplinano lo stato dei Giudici di Pace e dei magistrati onorari, bensì quelle che disciplinano l'accesso stesso alla magistratura ordinaria; comprese quelle che prevedono il superamento delle articolate prove concorsuali, scritte e orali. E ciò varrebbe ad affermare che il concorso per l'accesso alla magistratura ordinaria non è essenziale per il reclutamento di magistrati; e forse a ben vedere persino per lo svolgimento delle loro funzioni.

Il paradigma costituzionale
Neppure vi è motivo di esitare sulla legittimità costituzionale delle norme che disciplinano l'accesso alla magistratura ordinaria attraverso il superamento del concorso citato: in conformità a quanto previsto dallo stesso paradigma costituzionale la nomina dei magistrati va legata esclusivamente al riscontro della sussistenza di una elevata professionalità. Un accertamento che per altro verso deve avvenire in modo assolutamente indipendente dal circuito della politica.

Lavoratori a tempo indeterminato "atipici"?
Il Tar si è poi posto nella possibile prospettiva di una interpretazione del ricorso quale reclamo di uno status non equiparabile a quello della magistratura ordinaria ma comunque tale da comportare l'inquadramento dei ricorrenti nell'alveo di un rapporto di lavoro pubblico dipendente a tempo indeterminato; diverso da quello dei magistrati ordinari, eppure equiparabile al fine di determinare il trattamento economico, assistenziale e previdenziale. Ma secondo il Tar la giurisdizione su una simile domanda, che in sostanza è volta al riconoscimento di un rapporto di lavoro pubblico subordinato "atipico", non è vagliabile dal Giudice Amministrativo, essendo tassative le controversie di pubblico impiego, non privatizzato, devolute alla giurisdizione esclusiva del Giudice Amministrativo.

Il riparto di giurisdizione
Il Tar capitolino ha precisato che le controversie di pubblico impiego devolute alla giurisdizione esclusiva del Giudice Amministrativo per definizione hanno ad oggetto rapporti di pubblico impiego che ancora oggi sono disciplinati da norme di legge, e che si costituiscono mediante provvedimenti amministrativi unilaterali, espressivi di potestà pubblicistiche, a mezzo dei quali un soggetto, individuato con apposita procedura selettiva, è formalmente nominato e incardinato nell'apparato dell'amministrazione pubblica. Si tratta dei cosiddetti rapporti di lavoro di pubblico impiego "non privatizzato", il cui perfezionamento e la cui disciplina non trovano origine in un contratto di lavoro. Relativamente alle controversie di pubblico impiego "non privatizzato", il Giudice Amministrativo non può emettere sentenze costitutive del rapporto di lavoro, ma può solo, quando in giudizio sia stata dimostrata la ricorrenza di tutte le condizioni in presenza delle quali la pubblica amministrazione può ritenersi obbligata a dare corso al rapporto di lavoro, ordinare all'amministrazione di adottare gli atti a ciò necessari.
I rapporti di pubblico impiego "privatizzato" che si perfezionano invece con la conclusione di un contratto di lavoro, che al tempo stesso è anche fonte della disciplina del rapporto, sono devoluti alla giurisdizione del Giudice Ordinario che ha il potere di emettere pronunce alle quali la legge attribuisce anche effetto costitutivo. Questo potere, riconosciuto al Giudice Ordinario, è conciliabile con la natura "privatizzata" del rapporto di lavoro, il quale si perfeziona solo per effetto della specifica e concorde manifestazione di volontà espressa dalle parti. Volontà che ha carattere negoziale e che per questo alla necessità può essere espressa anche dal Giudice Ordinario in sostituzione dell'Amministrazione.

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