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Genere "neutro" o intersessuale, lo Stato che rifiuta la rettifica sull'atto di nascita non viola l'art. 8 della CEDU

A parere della CEDU, in base al principio della separazione dei poteri, il riconoscimento del "terzo genere" spetta al legislatore – La giurisprudenza italiana è divisa su tre orientamenti che si declinano in altrettante azioni

di Giancarlo Cerrelli*

La Corte Europea dei Diritti dell'Uomo con una recentissima sentenza del 31 gennaio 2023 , ( caso Y c. Francia ricorso n. 76888/17 ), ha stabilito che non viola l'art. 8 (diritto al rispetto della vita privata e familiare) della CEDU (Convenzione Europea dei Diritti Umani), lo Stato che si rifiuti di sostituire sul certificato di nascita del richiedente la menzione "sesso maschile" con la menzione "genere neutro" o "intersessuale"

Il caso

Un cittadino francese, nato nel 1951, residente in Francia, sposato, ha adottato, durante il matrimonio, con la propria moglie, un bambino.
Il ricorrente dichiara, tuttavia, di essere una persona intersessuale, nonostante il certificato di nascita indichi che è "maschio".

Il ricorrente ha, infatti, affermato che la sua intersessualità sarebbe stata accertata fin dai suoi primi giorni di vita, ma che è rimasta latente fino all'età di 63 anni, quando cioè ha deciso di avviare una procedura per chiedere la sostituzione sul suo atto di nascita del termine "sesso maschile" con il termine "genere neutro" o, in mancanza, "intersessuale".

Inizialmente si è rivolto al Tribunale di prima istanza di Tours (Francia) che ha accolto l'istanza del ricorrente con sentenza del 20 agosto 2015.
Il Procuratore generale ha fatto appello e la Corte d'appello d'Orléans ha annullato la sentenza del 20 agosto 2015, con sentenza del 22 marzo 2016.
Il 4 maggio 2017, anche la Corte di Cassazione francese ha rigettato il ricorso del ricorrente.

Il cittadino francese ha così fatto ricorso alla Corte Europea dei Diritti Umani lamentando la violazione da parte delle Corti francesi dell'art. 8 (diritto al rispetto della vita privata e familiare) della Convenzione europea dei Diritti umani.

La Corte Europea dei Diritti Umani si è pronunciata con sentenza del 31 gennaio 2023 affermando che nel caso di specie non sussiste nessuna violazione dell'articolo 8 della Convenzione.

La Corte EDU ha esaminato il caso, alla luce dell'obbligo dello Stato convenuto di garantire al ricorrente l'effettivo rispetto della sua vita privata, tuttavia, la Corte ha anche accertato se l'interesse generale fosse stato debitamente soppesato rispetto agli interessi del ricorrente. La Corte EDU ha, così, compiuto una necessaria analisi degli interessi contrapposti e un successivo bilanciamento degli stessi.

La Corte EDU, dunque, pur tenendo conto della sofferenza e dell'ansia del ricorrente dovuta alla discrepanza tra la sua identità biologica e la sua identità giuridica, la Corte, tuttavia, ha riconosciuto valide le argomentazioni addotte dalle autorità nazionali in sede di diniego nei confronti della domanda del ricorrente, dichiarando che esse sono fondate.

Il riconoscimento giudiziale di un genere "neutro", invero, - ha affermato la Corte EDU - determinerebbe conseguenze di vasta portata per le norme del diritto francese, costruito sulla base di due generi, e implicherebbe molteplici emendamenti legislativi di coordinamento.

La Corte d'appello di Orléans aveva ritenuto, infatti, che l'accoglimento della domanda del ricorrente avrebbe comportato il riconoscimento dell'esistenza di un'altra categoria di genere, eventualità che spettava in linea di principio al legislatore e non al potere giudiziario, la Corte ha ribadito che il rispetto del principio della separazione dei poteri, senza il quale non sussiste democrazia, era stato concretamente posto al centro delle considerazioni dei tribunali interni.

Sebbene il ricorrente abbia specificato di non reclamare la legittimazione di un diritto generale al riconoscimento di un "terzo genere" ma solo alla rettifica del suo stato civile , la Corte, tuttavia, ha osservato che se si dovesse accogliere la domanda del ricorrente ciò comporterebbe per lo Stato la modifica del proprio diritto interno.

In assenza di un orientamento europeo condiviso in tale settore, a giudizio della Corte appare necessario che sia lo Stato convenuto a determinare se e in che misura si possa soddisfare la richiesta pervenuta da persone intersessuali, A ben vedere, si richiede un contemperamento non semplice tra la posizione giuridica dei soggetti in questione e quella biologica. La Corte ha concluso che, tenuto conto della discrezionalità di cui gode lo Stato convenuto, la Francia non è venuta meno al suo obbligo di garantire l'effettivo rispetto della vita privata del richiedente: in definitiva, non sussiste una violazione dell'articolo 8 della Convenzione.

In conformità con le disposizioni degli articoli 43 e 44 della Convenzione, questa sentenza della Camera non è definitiva. Entro tre mesi dalla data del suo deposito, ciascuna parte potrà chiedere che la causa sia rinviata alla Grande Camera della Corte.

La persona intersessuale nell'ordinamento italiano

Premesso che il sesso è uno degli elementi essenziali che definiscono l'identità di una persona, perciò, deve necessariamente essere indicato nell'atto di nascita di ogni individuo, come prescritto dell'art. 30 D.P.R. 396/2000. Di solito l'individuazione del sesso del nascituro e la sua indicazione non creano problemi, ma in un numero non irrilevante di ipotesi si possono manifestare significative incertezze dovute alla presenza, nel medesimo soggetto, di caratteri sessuali – cromosomico-genetici, gonadici o fenotipici – sia maschili, sia femminili: si tratta del fenomeno dell'«intersessualismo», altrimenti conosciuto, in ambito medico, come «variazione della differenziazione sessuale».

È da precisare che anche la normativa italiana in materia di stato civile non consente di apporre nell'atto di nascita un'indicazione del sesso neutra o, quantomeno, provvisoria: nei casi di incertezza è infatti obbligatorio optare per il sesso ritenuto «prevalente» tra quello maschile e quello femminile, all'esito di un accertamento talvolta sommario.

Può capitare, tuttavia, che la persona intersessuale, durante i primi anni di vita o finanche durante l'età puberale, manifesti un'identità di genere opposta rispetto a quella «legale», assegnata al momento della nascita; pertanto, diviene opportuno «uniformare» il sesso registrato allo stato civile con quello psichico e sociale.

Per procedere legalmente a uniformare il sesso biologico a quello legale, la giurisprudenza italiana è divisa su tre orientamenti che si declinano i tre tipi di azioni differenti:

• il procedimento speciale disciplinato dalla l. 164/1982 e dall'art. 31 d.lgs. 150/2011, rubricati, rispettivamente, «norme in materia di rettificazione di attribuzione di sesso» e «delle controversie in materia di rettificazione di attribuzione di sesso»;

procedimento di rettificazione degli atti di stato civile, disciplinato dall'art. 95 D.P.R. 396/2000, il quale a sua volta rinvia agli artt. 737 ss. del codice di rito;

• l'esperire un'azione di status, nelle forme e secondo i crismi del rito ordinario di cognizione, ex art. 163 ss.

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*A cura del Prof. Avv. Giancarlo Cerrelli



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