Lavoro

La crisi di alcune sedi lavorative della Spa giustifica la loro chiusura con il contestuale licenziamento dei lavoratori

Troppo complesso e dispendioso procedere a una nuova formazione dei lavoratori per poter essere trasferiti in altre sedi non colpite dalla crisi

di Giampaolo Piagnerelli

In caso di grave crisi aziendale il datore può procedere al licenziamento di quei lavoratori appartenenti a un'unità produttiva che a breve sarà chiusa. Lo precisa la Cassazione con ordinanza n. 4132/23. La decisione – sicuramente dalla parte del datore – non è in piena sintonia con un recente arresto di legittimità (ordinanza n. 3437/23 pubblicata su "Nt plus diritto" del 3 febbraio 2023) secondo cui il datore, con il licenziamento collettivo non può "punire" solo un gruppo di dipendenti appartenenti a un settore dell'impresa, ma deve comunicare le ragioni che lo hanno portato a prendere una decisione così radicale, perché in caso contrario il licenziamento si considera illegittimo. Venendo alla vicenda della sentenza odierna, nella comunicazione, la Spa ha specificamente circoscritto il progetto di ristrutturazione e ridimensionamento aziendale alle unità produttive di Roma e Napoli, indicando analiticamente le ragioni ostative a un'estensione della comparazione al personale impiegato presso le unità produttive non toccate da tale progetto (Milano, Palermo, Catania, Rende): con delimitazione pertanto della platea al "personale operante con profilo equivalente all'interno di ciascuno dei siti produttivi interessati dagli esuberi (Roma e Napoli), in ragione della chiusura totale delle Divisioni 1 e 2 (per quanto riguarda Roma) e dell'intero sito (per quanto riguarda Napoli)". In particolare, nella comunicazione aziendale, si legge che "la società ritiene incompatibile con l'attuale situazione di grave criticità aziendale l'applicazione dei criteri di scelta all'intero organico aziendale". Secondo i Supremi giudici tre sono le condizioni che devono ricorrere perché la risoluzione del rapporto sia corretta:

a) la legittima delimitazione della platea, qualora il progetto di ristrutturazione si riferisca in modo esclusivo a un'unità produttiva, ben potendo le esigenze tecnico-produttive e organizzative costituire criterio esclusivo nella determinazione della platea dei lavoratori da licenziare, purché il datore indichi nella comunicazione le indicazioni che limitino i licenziamenti ai dipendenti dell'unità o settore in questione, sia le ragioni per cui non ritenga di ovviarvi con il trasferimento a unità produttive vicine, al fine di consentire alle organizzazioni sindacali di verificare l'effettiva necessità dei programmati licenziamenti;

b) la funzione dell'accordo sindacale (che ben può essere concluso dalla maggioranza dei lavoratori direttamente o attraverso le associazioni sindacali che li rappresentino, senza che occorra l'unanimità) di determinazione negoziale dei criteri di scelta dei lavoratori da licenziare, nella regolamentazione delegata dalla legge (come evidenziato dalla sentenza Corte costituzionale 22 giugno 1994, n. 268), dovendo rispettare non solo il principio di non discriminazione (articolo 15 della legge 300/1970), ma anche il principio di razionalità, sicché i criteri concordati devono avere caratteri di obiettività e di generalità, oltre che di coerenza con il fine dell'istituto della mobilità dei lavoratori (si vedano anche le sentenze della Cassazione 20 marzo 2013 n. 6959 e 5 febbraio 2018 n 2694);

c) la legittima limitazione della platea dei lavoratori interessati, qualora il progetto di ristrutturazione aziendale si riferisca in modo esclusivo a un'unità produttiva o a uno specifico settore dell'azienda. Poiché i Supremi giudici hanno riscontrato le condizioni per procedere al licenziamento collettivo, in funzione quindi di una soppressione delle sedi lavorative, nonché dell'impossibilità di procedere a una formazione per collocare i prestatori presso altra sede lavorativa, l'appello in Cassazione da parte dei lavoratori è stato respinto.

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