Penale

“Apologia del fascismo” ogni volta che la propaganda è idonea a fare proseliti

La Cassazione, sentenza n. 25452 depositata oggi, torna sulla questione ravvisando il reato nella affissione di striscioni nostalgici e di altri elementi propri dell’apparato esteriore dell’ideologia fascista

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di Francesco Machina Grifeo

Dopo la recente sentenza a Sezioni unite sul “saluto romano” (n. 16153 del 17 aprile 2024) secondo cui il reato di apologia del fascismo, previsto dalla “legge Scelba”, scatta a fronte di un concreto pericolo di riorganizzazione del disciolto partito fascista; la Cassazione, sentenza n. 25452 depositata oggi, torna sul tema affrontando il caso dell’“esaltazione” di altri “esponenti, principi, fatti e metodi” del ventennio. E chiarisce che, per integrare il reato, è sufficiente la “concreta idoneità” della propaganda a provocare adesioni e consensi favorevoli alla ricostituzione del disciolto partito fascista.

La Prima sezione penale ha così confermato la decisione della Corte di appello di Milano che aveva dichiarato colpevole di apologia del fascismo (art. 4 della legge 20 giugno 1952 n. 645) il presidente dell’associazione denominata DO.RA. “Comunità militante dei dodici raggi” per avere “esaltato, principi, fatti, o, comunque, metodi, proprio del fascismo”. L’imputato, nei giorni precedenti la presentazione del libro “Mussolini ha fatto anche cose buone” di Francesco Filippi, aveva organizzato nel comune di Azzate l’esposizione di due striscioni: il primo, nella centrale via Piave, con la frase: “Filippi non ti vogliamo, Azzate è casa di DO.RA”:“, l’altro, sulla facciata del comune, con la scritta “Mussolini non si tocca”. Inoltre, aveva curato l’affissione di volantini sempre rivolti a Filippi con la frase “non sbagliare strada Ventotene ti aspetta. Azzate NO!“. Sui volantini, firmati dal “commissario del Fascio di Azzate” erano impressi i simboli di DORA.

Il pericolo di ricostituzione del partito fascista era stato individuato nella possibilità che i manifesti e i volantini, evocativi di simboli tipici del fascismo, potessero creare proseliti del già ricostituito partito fascista operante ad Azzate, o, comunque, provocare adesione e consensi favorevoli alla ricostituzione di organizzazioni fasciste. Ritenendo che le condotte incriminate non costituiscono libera manifestazione del pensiero perché superano i limiti fissati dalla XII disposizione transitoria e finale della Costituzione.

Proposto ricorso, la Suprema corte l’ha respinto. Con specifico riferimento al reato previsto all’art. 4 della legge n. 645 del 1952, la condotta dell’agente, spiega la Cassazione, può articolarsi in tre tipi: perseguimento di finalità antidemocratiche proprie del partito fascista; esaltazione di esponenti, fatti e metodi di detto partito; compimento di manifestazioni esteriori di carattere fascista.

A prescindere dalla forma in cui si manifesta, la condotta deve, comunque, essere idonea a determinare il risultato ovvero il concreto pericolo di una riorganizzazione del disciolto partito fascista (valutato secondo i criteri dell’art 56 cod. pen in tema di delitto tentato con una valutazione ex ante della sua potenzialità).

Se a essere realizzata è la condotta di “esaltazione”, essa deve essere “suggestiva e comunque suscettibile di provocare adesioni e consensi favorevoli alla ricostituzione del partito fascista”. Sarà, quindi, necessario che il giudice accerti la sussistenza degli elementi di fatto (il contesto ambientale, il grado di immediata, o meno, ricollegabilità dello stesso contesto al periodo storico in oggetto e alla sua simbologia, il numero dei partecipanti, la ripetizione dei gesti) idonei a dare concretezza al pericolo di “emulazione” insito nel reato secondo i principi enunciati dalla Corte costituzionale (nn. 1/1957; 74/1958; 15/1973). L’esaltazione deve essere pubblica. L’elemento soggettivo è il dolo generico.

Per la Cassazione la sentenza impugnata ha fatto corretta applicazione dei principi esposti. Del resto, ai fini dell’integrazione del pericolo di ricostituzione del partito fascista non sono richiesti “comportamenti aggressivi, minacciosi, violenti”.

E la Corte distrettuale non solo ha individuato specifiche e plurime condotte di “esaltazione pubblica” di “esponenti, principi, fatti e metodi” propri del regime fascista (affissione di striscioni sulla facciata del comune ed in una piazza frequentata, nonché distribuzione di volantini, significativamente chiamati “foglio d’ordini”, stampati e timbrati con caratteri tipografici richiamanti la grafia fascista, in cui si difendeva la figura di Mussolini, definito intoccabile, e si auspicava il confino a Ventotene per gli avversari politici), ma le ha apprezzate, per la loro diffusività, per la destinazione a un numero elevato di consociati, per il tenore inequivoco delle espressioni utilizzate “immediatamente evocative dell’apparato esteriore dell’ideologia fascista, come oggettivamente funzionali a generare il pericolo di ricostituzione del partito fascista, sia pure sotto un particolare profilo ovvero quello dell’idoneità a provocare nuove adesioni e consensi, attraverso il richiamo nostalgico alla restaurazione del fascismo sollecitato con l’impiego di simboli ed espressione propagandistiche, in favore di una organizzazione già costituta (DO.RA.), che, ispirandosi integralmente ai valori del regime fascista indicati dall’art. 1 legge n. 645 del 1952, si autodefiniva ‘partito fascista repubblicano — Fascio di Azzate’, e attribuiva all’imputato il titolo di ‘Commissario del fascio di Azzate’“.

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