Lavoro

Gli effetti psicologici dello smartworking e la responsabilità del datore di lavoro

Una discontinuità lavorativa che mette l'individuo in condizioni di passare un numero significativo di ore di fronte uno schermo, in assenza di interazione sociale, genera stress e disturbi correlati all'ansia - Fondamentale la collaborazione tra medici specialisti, legislatore e azienda per individuare strumenti efficaci di prevenzione

di Elena Cescon, Giampaolo Berni Ferretti *


In un momento di crisi sanitaria e sociale in cui la nuova quotidianità si delinea con il lavoro a distanza bisogna chiedersi se e in che modo quest'ultimo possa, a lungo termine, impattare sulla mente umana e quindi sulla salute mentale del lavoratore. Una situazione di discontinuità lavorativa che mette l'individuo in condizioni di passare un numero significativo di ore di fronte uno schermo, in assenza di interazione sociale, fondamentale per il benessere psichico, genera stress e disturbi correlati quali ansia, depressione e in taluni casi burning out. È importante che in questo particolare periodo storico si trovino soluzioni e strumenti efficaci di prevenzione, che possano essere frutto di una collaborazione tra i medici specialisti, il legislatore e le aziende.

Ma quali sono nello specifico le responsabilità del datore di lavoro?

In virtù della procedura semplificata, il datore di lavoro può decidere di far svolgere lavoro agile al dipendente, unilateralmente e senza accordo tra le parti, ma proprio la mancanza di un accordo individuale con il lavoratore rende necessaria la predisposizione da parte dell'azienda di un Regolamento aziendale in materia di smart working che tracci le regole generali da rispettare per chi adotti tale modalità di lavoro, anche al fine di delinearne le modalità di svolgimento. Anche allo smart working si applicano, infatti, le norme in materia di salute e sicurezza sul lavoro del d.lgs. n. 81 del 2008, sia in tema gestione della prevenzione del rischio, sia in tema di rischi specifici.

Essendo alla base del lavoro agile una maggiore autonomia e responsabilità del lavoratore, l'azienda dovrà individuare le misure di prevenzione comportamentali e procedurali puntando sulle attività di formazione e informazione.

Uno dei rischi è che si possa avere un impatto sul benessere psico-fisico del lavoratore facendo insorgere patologie psichiche quali ad es. lo stress da lavoro e la sindrome da esaurimento emotivo. Un approccio concreto è quello che viene suggerito nel Protocollo siglato il 30 settembre scorso tra il Ministero per la Pubblica Amministrazione e l'INAIL in tema di smartworking nella PA, sia in termini di realizzazione di un'indagine conoscitiva su un campione di lavoratori, sia in relazione alla metodologia sviluppata dal Dipartimento di medicina, epidemiologia, igiene del lavoro e ambientale dell'INAIL.

Il datore di lavoro ha il dovere di apprestare un ambiente idoneo a tutelare l'integrità fisica e la personalità morale dei dipendenti. L'onere è espresso in una norma di chiusura (L'art. 2087 c.c ) suscettibile di interpretazione estensiva, in ragione del rilievo costituzionale del diritto alla salute tutelato. Si sostiene, pertanto, che il datore di lavoro non sia tenuto solo ad attivarsi nell'adozione di tutte le misure necessarie alla tutela della condizione psico-fisica del lavoratore, ma anche ad astenersi da iniziative che possano ledere i diritti fondamentali del dipendente, mediante la creazione di condizioni lavorative "stressogene".La responsabilità del datore di lavoro va collegata alla violazione degli obblighi di comportamento imposti da norme di legge o suggeriti dalle conoscenze sperimentali o tecniche del momento, a ciò conseguendo che incombe al lavoratore che lamenti di avere subito, a causa dell'attività lavorativa svolta, un danno alla salute, l'onere di provare l'esistenza di tale danno, come pure la nocività dell'ambiente di lavoro, nonché il nesso tra l'uno e l'altro, e che solo se il lavoratore abbia fornito la prova di tali circostanze sussiste per il datore di lavoro l'onere di provare di avere adottato tutte le cautele necessarie ad impedire il verificarsi del danno e che la malattia del dipendente non è ricollegabile alla inosservanza di tali obblighi.

In particolare, per i casi più degenerativi (morte del lavoratore, infarto cardiaco etc…) per quanto attiene la responsabilità del datore di lavoro, che nelle leggi della disciplina Giuslavoratoristica sono riferite alla violazione degli obblighi di comportamento imposti da norme di legge o suggeriti dalle conoscenze sperimentali o tecniche del momento, nella scienza penalistica è necessaria anche la prova del nesso causale, ovvero la dimostrazione, almeno in termini di probabilità, con riferimento alle mansioni svolte, alle condizioni di lavoro e alla durata ed intensità dell'esposizione a rischio, che, rispetto all'evento dannoso, l'attività lavorativa ha assunto un ruolo concausale, anche alla stregua della regola del concorso di cause come previsto e disciplinato dal codice penale.

Interessante a tal fine è anche la definizione di lavoro della nozione di occasione di lavoro di cui al Testo unico delle disposizioni per l'assicurazione obbligatoria contro gli infortuni sul lavoro e le malattie professionali (D.P.R. n. 1124 del 1965, art. 2), la implica la rilevanza di ogni esposizione a rischio ricollegabile allo svolgimento dell'attività lavorativa in modo diretto o indiretto e, quindi, anche della esposizione al rischio insito in attività accessorie o strumentali allo svolgimento della suddetta attività.

In tema di risarcimento del danno biologico a fronte di infortunio o malattia e condizioni per la tutela obbligatoria è di tutta evidenza il recente orientamento (Cassazione civile sez. lav., 10/04/2017, n.9166) che non escluse il concorso, insieme ad Inail, da parte del datore di lavoro qualora ricorrano le condizioni soggettive ed oggettive per la tutela obbligatoria contro gli infortuni sul lavoro e le malattie professionali.

Ma cosa è lo stress e quali sono le conseguenze sul piano fisico?

In un recente confronto degli scriventi con la Dr.ssa R. Chifari Negri, Specialista in Neurologia è emerso che di per se lo stress non è del tutto negativo, ma è una risposta adattativa dell'organismo per superare situazioni di rischio (classica risposta di attacco / o fuga) che nell'uomo ha radici ancestrali. Un aumento della secrezione di adrenalina in atti aumenta le performance sia fisiche che mentali, aiutando l'uomo a superare le situazioni di emergenza. Tuttavia se questa reazione si prolunga nel tempo lo stress cronico determina un insieme disturbi vegetativi (palpitazioni tremori, disturbi del sonno) e perfino della memorizzazione. Il cortisolo che viene prodotto nello stress cronico ha un effetto sull'ippocampo , la zona del cervello dove viene "stoccata "la memoria a lungo termine , con conseguente riduzione della capacità di apprendimento. Questo insieme di sintomi noto ai più come disturbi d'ansia può essere la conseguenza di uno stress cronico. Un disturbo che può essere correlato ad un periodo di smartworking prolungato è il burn out. A livello individuale semplici accorgimenti, come uno stile di vita sano, tecniche di meditazione, pianificazione della propria giornata, evitando il lavoro multitaskig, biofeedback possono essere efficaci.
A livello aziendale l'utilizzo di figure anche esterne che insegnino a rafforzare le abilità di copyng aumentando la resilienza e in generale una ristrutturazione cognitiva possono essere impattanti in senso positivo, cosi come la gratificazione, sia sul piano sociale tra colleghi nell'ambiente di lavoro, che economico è uno strumento efficace. Quando malauguratamente il burnout sfocia nella depressione la psicoterapia cognitivo comportamentale e farmacologico, con l'ausilio di specialisti, messi a disposizione del lavoratore possono essere determinanti.

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*Mascheroni&Associati

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