La Corporate governance delle Società di Capitali quotate
Corporate governance delle Società di Capitali quotate e delle responsabilità sociali dell'imprese alla luce del nuovo Codice di Autodisciplina di Borse Italiane, il punto sul concetto di "successo sostenibile"
Lo scorso 12 febbraio durante lo Speakers' Corner, rubrica ideata dal Centro Studi Borgogna, si è discusso sul tema della Corporate Governance delle Società di Capitali quotate.
L'incontro, moderato dall'Avv. Fabrizio Ventimiglia – Founder dello Studio Legale Ventimiglia e Presidente del Centro Studi Borgogna, ha visto un interessantissimo dibattito tra l'Avv. Alessandro De Nicola, Senior Partner dello Studio Legale Orrick, Herrington & Sutcliffe LLP, nonché Presidente The Adam Smith Society ed il Dott. Federico Maurizio d'Andrea, Presidente OdV del Banco BPM S.p.A. e di MM S.p.A nonché Presidente di Amsa S.p.A.
Durante lo Speakers' corner è stato, dunque, approfondito il tema della Corporate governance delle Società di Capitali quotate e delle responsabilità sociali dell'imprese alla luce del nuovo Codice di Autodisciplina di Borse Italiane, entrato in vigore nello scorso gennaio, il quale impone un'analisi circa il concetto di "successo sostenibile".
Per responsabilità sociale d'impresa, ossia la c.d. Corporate Social Responsability (da ora in poi CSR), si intende quel tipo di responsabilità che le società si assumono non soltanto nei confronti degli azionisti, ma anche verso altri soggetti: le aziende con la loro attività vogliono avere un'influenza positiva nei confronti degli stakeholder e dell'ambiente, nonché dei fornitori, clienti e dipendenti.
Nel panorama internazionale il tema della CSR ha fatto il suo esordio già nel 1970 nella New York Review of Book, ove si andava affermando il concetto di corporate society responsability secondo il quale il dovere degli amministratori consiste nell'assicurarsi che la società riesca a garantire dei profitti nel rispetto della legge, in un mercato concorrenziale.
Negli ultimi anni il concetto è stato ripreso dagli studiosi e dagli operatori del diritto: nel 2015, difatti, è stata approvata la c.d. "Agenda 2030" da parte dell'ONU, ove tra i goals da raggiungere entro il 2030 è stato inserito per l'appunto anche lo sviluppo sostenibile.
Ed ancora, sempre a livello internazionale, a riprova della progressiva – e sempre maggiore - sensibilizzazione delle Istituzioni verso il tema, basti pensare all'Accordo di Parigi del 2015 ed alle Linee guida emanate dall'OCSE.
Proseguendo nella disamina comunitaria, nel 2016, è, intervenuta anche la Commissione Europea, che ha nominato un Gruppo di esperti indipendenti per lo studio dei temi riferiti alla sostenibilità, e nel 2020 ha emanato il Regolamento n. UE/852/2020 , in cui detta ulteriori linee guida per raggiungere lo scopo dello sviluppo ecosostenibili e degli investimenti sostenibili.
Nell'ottobre del 2020 proprio la Commissione proponeva un "approccio europeo" secondo cui è necessario che il governo societario nell'esercizio delle proprie funzioni rispetti la nozione di CSR e ridefinisca i poteri fiduciari degli amministratori verso una maggiore sostenibilità della direzione aziendale.
Il concetto di "Sostenibilità" – e la sua attuazione – ricade sulle azioni, entra nel processo decisionale delle imprese attraverso la promozione delle pratiche di governance che intervengono sulla remunerazione e diversity.
La fonte normativa sulla quale si basa il CSR è il c.d. "codice" della corporate governance, nel cui testo si favorisce una maggiore capacità di visione per gli azionisti che mirano all'interesse a lungo termine e successo sostenibile.
Vi sono essenzialmente due approcci circa la corporate governance: uno pubblicistico ed uno privatistico.
Il primo – anche detto approccio pubblicistico – è consapevole della necessità, nel mondo, che anche le imprese diventino dei soggetti responsabili che abbiano a cura l'interesse generale, e non soltanto l'interesse degli azionisti; è altrettanto necessario che tutti adempiano a tutti i loro doveri: in questa ottica, de facto, il successo sostenibile di breve termine porterebbe degli svantaggi complessivi alla società in generale, non attuando gli interessi su larga scala e su lungo termine.
L'approccio privatistico, per contro, sostiene che convenga attuare sin da subito quanto prescritto per il CSR, in quanto l'adozione dello stesso comporta un miglioramento del brand e della reputazione aziendale; ne discenderebbe, inoltre, una riduzione dei costi operativi, un conseguenziale ampliamento della clientela, la fidelizzazione di questi ultimi e, mediante tali strategie, verrebbero attratti nuovi investitore dai quali ne deriverebbe un aumento dell'engagement.
Da tali approcci, tuttavia, ne deriva la consapevolezza che nel caso in cui vi siano dei benefici c.d. privati, sicuramente a questi penserebbero - a causa delle loro elevate skills imprenditoriali - gli azionisti i quali, in prima facie ridurrebbero i costi operativi ma, con il raggiungimento degli obiettivi prospettati riuscirebbero a raggiungere una maggiore consapevolezza del brand e della reputazione aziendale.
Tuttavia, la necessità di ottenere il raggiungimento dell'obiettivo su lungo termine è un ragionamento tipico delle società quotate in Borsa: il peso dei grandi mercati – come Londra, New York e Amsterdam – e dei grandi investitori – che nel caso di specie si identificano come Fondi, in particolar modo Fondi Pensioni – che vogliono assicurare – anche ai pensionati – un rendimento sicuro.
Altrettanto interessante sono, inoltre, le considerazioni che hanno i manager nei confronti delle società pubbliche.
Il mercato, nonostante il mutatis mutandis maggiormente incline alle necessità della realtà politica ed economica, non è stato in grado di risolvere quelle problematiche scaturite nel corso degli anni, tuttavia per porre rimedio ad alcune di queste problematiche è stato ideato il c.d. Codice di Autodisciplina.
Il citato codice, nelle società quotate, comporta però un eccesso di regole nella corporate governance, spesso non allineate tra loro e di difficile interpretazione sistematica.
Le società quotate si sono autoregolamentate nel tentativo di raggiungere una sana governance. Si è andati nella direzione di una la semplificazione della normativa sottesa alla corporate governace, per renderla di facile attuazione all'interno del governo delle aziende.
Il Codice di Autodisciplina (pur non obbligatorio) è considerato come una necessaria applicazione di regole utile anche a creare quel clima di fiducia legato alle informazioni di mercato.
Durante il dibattito si è avuto modo di discutere non solo, quindi, di successo sostenibile, ma anche della posizione degli amministratori indipendenti e degli amministratori delegati.
Dal confronto tra i due illustri relatori dello Speakers' Corner ne sono derivati degli utili spunti di riflessione ed approfondimento, sui quali il Centro Studio Borgogna tornerà ad occuparsi nei prossimi incontri.
È possibile, inoltre, riascoltare quanto detto dall'Avv. De Nicola e il Dott. D'Andrea sulle pagine Facebook e Youtube del Centro Studi Borgogna.