Lavoro

Collegato lavoro, le dimissioni per fatti concludenti non operano “automaticamente”

La circolare n. 6/2025 del Ministero del Lavoro e delle Politiche Sociali fornisce nuovi chiarimenti - e apre la porta a qualche dubbio - sulle dimissioni per fatti concludenti

Quit Job Business man sending resignation letter and packing Stuff Resign Depress or carrying business cardboard box in office. Change of job or fired from company

di Michele Giammusso*

Il Collegato lavoro, L. n. 203/2024, ha introdotto una nuova fattispecie di dimissioni per fatti concludenti (vd. il novellato articolo 26, comma 7 bis, del d.lgs. 151/2015).

In sintesi, una volta superato un certo numero di assenze ingiustificate, il rapporto di lavoro si intende risolto per volontà del lavoratore, dimissionario per fatti concludenti.

La norma è tutt’altro che di facile interpretazione e si è reso necessario fornire diversi chiarimenti operativi (sia da parte dell’ Ispettorato del Lavoro con le note nn. 9740/2024 e 597/2025 che da parte dell’INPS tramite il messaggio INPS n. 639/2025). Per maggiori approfondimenti sul tema si rimanda agli articoli già pubblicato gli scorsi 28 gennaio e 24 febbraio: e “Dimissioni per fatti concludenti: l’Ispettorato Nazionale del Lavoro precisa gli adempimenti a carico del datore di lavoro” e Dimissioni per fatti concludenti: l’INPS chiarisce i riflessi su NASpI, “ticket licenziamento” e flusso Uniemens

Con la recente circolare n. 6/2025, il Ministero del Lavoro fornisce ulteriori chiarimenti ritenuti a gran voce necessari da parte dei molti operatori del settore.

In primo luogo, la circolare chiarisce che le dimissioni per fatti concludenti non operano automaticamente, ma si verificano solo se e quando il datore di lavoro decide di prenderne atto e di darne specifica comunicazione all’Ispettorato territorialmente competente.

Da ciò discende che è a far data da tale comunicazione (da effettuarsi a mezzo pec) che decorre il dies a quo per il decorso del termine dei cinque giorni previsto per effettuare la comunicazione obbligatoria di cessazione del rapporto di lavoro tramite il modello Unilav.

La cessazione del rapporto di lavoro, pertanto, avrà effetto dalla data di comunicazione dell’assenza del lavoratore effettuata all’Ispettorato dal datore di lavoro. Sul punto la circolare specifica che il datore di lavoro non sarà tenuto, per il periodo di assenza ingiustificata del lavoratore al versamento della retribuzione e dei relativi contributi. In aggiunta, la circolare riconosce che il datore di lavoro ha il diritto di trattenere dalle competenze di fine rapporto da corrispondere al lavoratore l’indennità di mancato preavviso contrattualmente stabilita.

La comunicazione dunque costituisce uno specifico onere posto in capo al datore di lavoro, necessario per la risoluzione del rapporto di lavoro. Tuttavia, l’effetto “risolutivo” della comunicazione potrà essere evitato dal lavoratore ove questi dimostri l’impossibilità, per causa di forza maggiore o per fatto imputabile al datore di lavoro, di comunicare i motivi che giustificano la sua assenza (ad esempio, perché ricoverato in ospedale). Inoltre, l’effetto risolutivo della comunicazione viene meno qualora l’Ispettorato accerti la non veridicità della dichiarazione; in tal caso il datore di lavoro potrebbe essere ritenuto responsabile penalmente per falsità delle comunicazioni rese.

La circolare afferma che la durata dell’assenza che può determinare la configurazione delle dimissioni per fatti concludenti debba essere in ogni caso pari o superiore a quindici giorni e che nel caso in cui il CCNL applicato preveda un termine inferiore, dovrà farsi riferimento al termine legale di quindici giorni.

Tale assunto sembra in contrasto con quanto previsto dal legislatore che invece fa riferimento ad una “assenza ingiustificata del lavoratore protratta oltre il termine previsto dal contratto collettivo nazionale di lavoro applicato al rapporto di lavoro o, in mancanza di previsione contrattuale, superiore a quindici giorni”. In buona sostanza, sembra che il legislatore, contrariamente a quanto affermato nella circolare, rimetta alla contrattazione collettiva la definizione del termine, senza porre alcun limite, mentre il termine legale di quindici giorni opererebbe soltanto in via residuale (ove cioè non vi sia una espressa previsione del CCNL).

Infine, la circolare chiarisce che la disciplina delle dimissioni per fatti concludenti non si applica alle lavoratrici in gravidanza e ai genitori nei primi tre anni di vita del bambino. Tali soggetti, ritenuti in uno stato di maggiore vulnerabilità, sono tutelati da una apposita disciplina contemplata nel Testo Unico della genitorialità (D.lgs. n. 151/2001) la quale prevede che le dimissioni di queste tipologie di lavoratori debbano essere, ai fini della loro validità, “convalidate davanti all’ispettorato del lavoro.

La circolare ritiene inapplicabili le dimissioni per fatti concludenti a tali tipologie di lavoratori. La ragione di tale esclusione è poco chiara, posto che la fattispecie delle dimissioni per fatti concludenti (che ha lo scopo di evitare comportamenti abusivi da parte dei lavoratori) non ha nulla in comune con quella della convalida delle dimissioni (che nasce per impedire condizionamenti della volontà di lavoratori che si trovano in una situazione di vulnerabilità).

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*Michele Giammusso, Avvocato Giuslavorista presso Nunziante Magrone

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