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Esame avvocato/21: il caso penale, la recidiva è un'aggravante che incide sul regime di procedibilità?

In questa esercitazione si analizza la recentissima decisione delle sezioni Unite penali n. 3585 del 29 gennaio 2021

di Nicola Graziano

La recentissima decisione delle sezioni Unite penali (n. 3585 del 29 gennaio 2021) dirimere la controversia sorta in ordine alla natura giuridica della recidiva qualificata, al fine di stabilire la riconducibilità di tale circostanza alla categoria delle aggravanti ad effetto speciale che, ai sensi dell’articolo 649-bis del Cp, rendono procedibili d’ufficio taluni reati contro il patrimonio. Come è noto, infatti, il Dlgs n. 36/2018, al fine di migliorare l’efficienza del sistema penale e per la riduzione dei carichi penali, ha escluso la punibilità d’ufficio di taluni delitti patrimoniali come la truffa (articolo 640 del Cp), la frode informatica (640-ter del Cp) e l’appropriazione indebita (articolo 646 del Cp) ma nel contempo, nei casi in cui la truffa e la frode informatica siano procedibili a querela (articoli 640, comma III e 640 ter, comma IV, del Cp) e l’appropriazione indebita sia aggravata dalla circostanza del fatto commesso su cose possedute a titolo di deposito necessario (articolo 646, comma II, del Cp) o da una di quelle indicate nell’articolo 61, comma I, n. 11, del Cp, si procede d’ufficio qualora ricorrano circostanze aggravanti ad effetto speciale ovvero se la persona offesa è incapace per età o infermità o se il danno arrecato alla persona offesa è di rilevante gravità. In tale ottica si è posto il problema della riconducibilità della recidiva qualificata alla categoria delle aggravanti ad effetto speciale per gli effetti sopra indicati.

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1) La sentenza in esame: Corte Suprema di Cassazione, Sezioni Unite Penali, sentenza del 29 gennaio 2021 n. 3585

 

La massima della decisione:

Casi di procedibilità d'ufficio - Rilevanza della recidiva qualificata
Il riferimento alle aggravanti speciali contenuto nell'articolo 649-bis del Cp, ai fini della procedibilità d'ufficio, per taluni delitti contro il patrimonio menzionati nello stesso articolo (nella specie, trattavasi del reato di cui all'articolo 646, aggravato ex articolo 61, numero 11, del Cp), comprende anche la recidiva qualificata - aggravata, pluriaggravata e reiterata- di cui all'articolo 99, commi 2, 3 e 4, del Cp. Non è dubbio, infatti, alla luce del diritto vivente, che la recidiva costituisce una circostanza aggravante del reato, inerente alla persona del colpevole, che non differisce nei suoi meccanismi applicativi dalle ulteriori circostanze del reato e che la stessa, nella sua espressione "qualificata", è una circostanza aggravante a effetto speciale. Per l'effetto, la recidiva "qualificata", ove ritenuta sussistente dal giudice, anche agli effetti del giudizio di bilanciamento tra circostanze aggravanti e attenuanti, non rende il reato perseguibile a querela di parte, ove questa sia prevista per l'ipotesi non circostanziata.

2) La questione giuridica

  Se il riferimento alle aggravanti ad effetto speciale, contenuto nell’art. 649 - bis c.p. ai fini della procedibilità d’ufficio per taluni reati contro il patrimonio, vada inteso come riguardante anche la recidiva qualificata di cui ai commi II, III e IV dell’art. 99 dello stesso codice

 

3) Riferimenti normativi: art. 61, comma I, n. 11, c.p.; art. 63, comma III, c.p.; art. 99, commi II, III e IV, c.p.; art. 646 c.p.; art. 649 bis c.p.

 

4) Le possibili interpretazioni

Art. 63, comma III, c.p. (definizione di circostanza ad effetto speciale)

Quando per una circostanza la legge stabilisce una pena di specie diversa da quella ordinaria del reato o si tratta di circostanza ad effetto speciale, l’aumento o la diminuzione per le altre circostanze non opera sulla pena ordinaria del reato, ma sulla pena stabilita per la circostanza anzidetta. Sono circostanze ad effetto speciale quelle che importano un aumento o una diminuzione della pena superiore ad un terzo.

La tesi soggettivistica

Secondo un primo indirizzo interpretativo c.d. soggettivistico, la recidiva costituisce una circostanza aggravante sui generis rispetto alle altre aggravanti ad effetto speciale, poiché inerendo alla persona del colpevole (in quanto condizione personale del soggetto derivante dall’esistenza di una precedente condanna per un fatto diverso) non incide sulla gravità del fatto - reato. Se ne ricaverebbe che, per il caso che qui interessa, essa non può sortire un effetto tale da influire sul regime di procedibilità, a differenza di quelle circostanze che sono normalmente chiamate a qualificare la fattispecie di reato in termini di maggiore disvalore penale del fatto (Cassazione, Sezioni Unite Penali, n. 3152/87 ed altre).

La tesa trova conforto anche nella riforma della recidiva attuata con la Legge n. 251/2005 che ha acuito i connotati personalistici della recidiva e rendendo ancor più peculiare il suo regime tale da distinguerlo da quello delle altre circostanze aggravanti.

Il principio della estensione della querela a tutti i concorrenti, affermato dall’art. 123 c.p., postula che il reato debba essere individuato sulla base della sua astratta struttura oggettiva, sia in relazione agli elementi costitutivi sia in relazione a quelli accidentali, con nessuno dei quali può identificarsi la condizione personale di recidivo di un singolo compartecipe.

Si osserva che sarebbe assurdo sottrarre la perseguibilità penale al potere dispositivo della persona offesa in base ad una mera presunzione di maggiore capacità a delinquere del recidivo la quale può essere esclusa, in concreto, da giudice del dibattimento.

La tesi della incidenza della recidiva sulla procedibilità d’ufficio

Le Sezioni Unite Penali n. 20798 del 24 febbraio 2011 ha ricondotto la recidiva qualificata alla categoria delle circostanze aggravanti ad effetto speciale, atteso che le ipotesi previste all’art. 99 c.p., commi II, III e IV comportano un aumento della pena superiore ad un terzo. Ha, inoltre, confutato la concezione dell’istituto come status formale del soggetto, in base al rilievo che la recidiva produce effetti unicamente ove il giudice non solo verifichi l’esistenza del presupposto formale desumibile dai precedenti penali, ma proceda anche al riscontro sostanziale della più accentuata colpevolezza e della maggiore pericolosità. La citata sentenza muove dalla premessa che le circostanze costituiscono lo strumento giuridico attraverso il quale il legislatore provvede ad adeguare la risposta sanzionatoria alla variabile gravità di fatti criminosi già tipici, correlata alla sussistenza di ulteriori elementi, predeterminati in via generale ed astratta attraverso la previsione legale delle singole e molteplici situazioni circostanziali.

La sentenza non disconosce che l’istituto della recidiva è connotato da una marcata ambivalenza, desumibile dalla stessa sistematica del codice penale, ma, nel ripercorrere la complessa ed articolata elaborazione giurisprudenziale maturata dopo l'entrata in vigore della L. n. 251 del 2005, afferma che non è conforme ai principi generali di un moderno diritto penale, espressivo dei valori costituzionali, una concezione della recidiva quale status soggettivo correlato al solo e semplice dato formale della ricaduta nel reato dopo una previa condanna passata in giudicato, che formi oggetto di mero riconoscimento da parte del giudice, chiamato soltanto a verificare la correttezza della sua contestazione. Evidenzia che la recidiva, al pari di altri elementi la cui natura circostanziale non è posta in discussione, esplica un’efficacia extraedittale, permettendo di fissare la sanzione finale oltre i limiti propri della comminatoria edittale, e, al contempo, assolve alla funzione di commisurazione della pena, adeguando la sanzione al fatto, considerato sia nel suo obiettivo disvalore, sia nella relazione qualificata con il suo autore. Sulla base di tali rilievi giunge alla conclusione che la recidiva è una circostanza pertinente al reato che richiede un accertamento, nel caso concreto, della relazione qualificata tra lo status e il fatto che deve risultare sintomatico, in relazione alla tipologia dei reati pregressi e all'epoca della loro consumazione, sia sul piano della colpevolezza che su quello della pericolosità sociale.

L’orientamento fatto proprio dalla precedente decisione del 1987, dilatando il richiamo alla personalità dell’agente oltre i limiti di immediata e diretta rilevanza per la valutazione dello specifico episodio, mal si concilia con un diritto penale del fatto, rispettoso del principio di colpevolezza fondato sulla valutazione della condotta posta in essere dal soggetto nella sua correlazione con l’autore di essa. Il giudizio sulla recidiva non riguarda l’astratta pericolosità del soggetto o un suo status personale svincolato dal fatto reato. Il riconoscimento e l’applicazione della recidiva quale circostanza aggravante postulano, piuttosto, la valutazione della gravità dell’illecito commisurata alla maggiore attitudine a delinquere manifestata dal soggetto agente, idonea ad incidere sulla risposta punitiva - sia in termini retributivi che in termini di prevenzione speciale - quale aspetto della colpevolezza e della capacità di realizzazione di nuovi reati, soltanto nell’ambito di una relazione qualificata tra i precedenti del reo e il nuovo illecito da questo commesso, che deve essere concretamente espressivo di una maggiore colpevolezza e di una maggiore pericolosità dell'autore del fatto.

La posizione delle Sezioni Unite Penali (n. 3585/2021)

L’art. 649 bis c.p., ai fini della procedibilità d’ufficio, attribuisce specifico rilievo alle circostanze aggravanti ad effetto speciale. L’art. 12 preleggi, nel dettare le principali regole di interpretazione, dispone che nell’applicare la legge non si può ad essa attribuire altro senso che quello fatto palese dal significato proprio delle parole secondo la connessione di esse, e dalla intenzione del legislatore. Costituisce, ormai, un vero e proprio diritto vivente l’affermazione che la recidiva costituisce una circostanza aggravante del reato, inerente alla persona del colpevole, che non differisce nei suoi meccanismi applicativi dalle ulteriori circostanze del reato e che la stessa, nella sua espressione qualificata, è una circostanza aggravante ad effetto speciale. La recidiva, ove ritenuta sussistente dal giudice, rientra, in quanto circostanza aggravante, nel giudizio di bilanciamento tra circostanze aggravanti e attenuanti previsto dall’art. 69 c.p. Il giudizio di equivalenza o di subvalenza della recidiva rispetto alle circostanze attenuanti nell’ambito del giudizio di bilanciamento ai sensi dell'art. 69 c.p. non elide la sussistenza della recidiva stessa e gli effetti da essa prodotti ai fini del regime di procedibilità e non rende il reato perseguibile a querela di parte, ove questa sia prevista per l’ipotesi non circostanziata (Sez. 2, n. 37482 del 06/06/2019, Torre; Sez. 5, n. 14648 del 12/02/2019, Mercadante; Sez. 5, n. 10363 del 06/02/2019, Gennaro; Sez. 2, n. 24754 del 09/03/2015, Massarelli).

Secondo la Corte di Cassazione la discrezionalità della valutazione giudiziale circa la sussistenza dei presupposti (sostanziali) della recidiva non determina ricadute negative sulla individuazione del regime di procedibilità e può conciliarsi con le esigenze deflattive perseguite dal legislatore.

E’ vero che una parte della dottrina, pur riconoscendo la natura circostanziale della recidiva, argomenta che essa non può incidere sul regime di procedibilità, dovendo le deroghe all'obbligatorietà dell'azione penale fondarsi su dati certi e di tempestiva riscontrabilità. La concreta possibilità di verificare la sussistenza del fondamento reale dell’aggravante ex art. 99 c.p. solo in una fase avanzata del processo rischia di introdurre una sorta di procedibilità d’ufficio provvisoria e sub iudice, finendo inevitabilmente per affidare lo stesso esercizio dell'azione penale a criteri incerti e di natura sostanzialmente valutativo-prognostica (A titolo esemplificativo si osserva che il pubblico ministero, prima di scegliere se dare avvio al procedimento, dovrebbe pronosticare se l’esistenza di precedenti penali, di cui non è sufficiente la mera formale ricorrenza, possa essere ritenuta, in sede giudiziale, indice di maggiore colpevolezza e di più accentuata pericolosità. Tutto questo viene ritenuto incompatibile con il carattere di obbligatorietà dell'azione penale ex art. 112 Cost.).

E’ stato altresì evidenziato che, qualora la valutazione giudiziale abbia esito negativo, il risultato non potrà che essere quello di dichiarare non doversi procedere per l’eventuale mancanza della querela, ma solo a processo pressoché ultimato, con frustrazione delle stesse finalità di deflazione dei carichi processuali che ha ispirato l’estensione dei casi di procedibilità a querela da parte del legislatore del 2017-2018, non dissimilmente da quello del 1981.

Altri Autori rilevano, poi, che un effetto potenzialmente pregiudizievole per l’autore del reato, qual è la procedibilità di ufficio rispetto alla perseguibilità a querela, non può farsi dipendere dalla previa contestazione - pur necessaria del solo presupposto formale dato dalle (o dalla) precedenti condanne e che non appare plausibile che tale contestazione dia luogo ad una procedibilità d’ufficio provvisoria, suscettibile di lasciare eventualmente il passo, a giudizio del tutto (o pressoché) ultimato, ad una riemergente perseguibilità a querela. Esiste una sostanziale incommensurabilità tra il giudizio discrezionale su cui si fonda l’accertamento della recidiva e quello - preventivo ed astratto, a carattere legale e non giudiziale - riguardante la gravità tipizzata del reato che deve fondare il regime di procedibilità.

Con riguardo alle sollevate perplessità merita ricordare che la Corte costituzionale ha più volte affermato, con specifico riguardo alla perseguibilità a querela costituente, nel nostro ordinamento, una deroga alla obbligatorietà dell’azione penale, che la scelta delle forme di procedibilità coinvolge la politica legislativa e deve, quindi, rimanere affidata a valutazioni discrezionali del legislatore, presupponendo bilanciamenti di interessi e opzioni di politica criminale spesso assai complessi, sindacabili in sede di giudizio di legittimità costituzionale solo per vizio di manifesta irrazionalità (cfr., ex plurimis, ord. n. 324 del 2013; n. 91 del 2001; n. 354 del 1999; n. 204 del 1988; n. 294 del 1987; sent. n. 274 del 1997; n. 7 del 1987; n. 216 del 1974). La Corte costituzionale ha, inoltre, osservato che la scelta legislativa di escludere l’influenza del giudizio di comparazione tra le circostanze sul regime di procedibilità del reato, operata nell’ambito della disciplina generale che regola il regime di valutazione delle circostanze, non è da considerare arbitraria (ord. n. 354 del 1999). La natura della recidiva quale circostanza del reato rende, inoltre, evidente che, in presenza della sua contestazione, il giudice, chiamato a valutarne la sussistenza, compie un giudizio ontologicamente identico a quello che effettua in rapporto ad altre circostanze del reato e, in quanto investito di un potere discrezionale, ha l’obbligo di spiegare la sua scelta fornendo adeguata motivazione. La giurisprudenza di legittimità, sia pure con riguardo all’istituto della prescrizione, ha avuto modo di escludere potenziali aspetti di frizione fra la previsione di un regime differenziato per il soggetto recidivo ed i principi desumibili dalla Costituzione in considerazione del maggior allarme sociale provocato dal comportamento di chi, rendendosi autore di reiterate condotte criminose, mette maggiormente a rischio la sicurezza pubblica (Sez. 2, n. 31811 del 02/07/2015, Angileri; Sez. 5, n. 31064 del 02/11/2016, dep. 2017, Conte; Sez. 5, n. 57694 del 05/07/2017, Panza; Sez. F, n. 38806 del 27/07/2017, Mari). All’obiezione che la necessaria certezza processuale verrebbe a dipendere da una provvisoria contestazione, su base meramente formale, della recidiva, destinata magari in seguito a venire meno in ragione della valutazione del giudice è possibile rispondere che la questione coinvolge non solo la recidiva, contestata dal pubblico ministero e successivamente ritenuta insussistente dal giudice, ma, allo stesso modo, qualsiasi altra aggravante che abbia incidenza sulla procedibilità. Tali situazioni trovano una risposta fisiologica in sede processuale, ove l’art. 129 c.p.p., impone, in ogni stato e grado del procedimento, l’obbligo della immediata declaratoria di determinate cause di non punibilità, fra le quali rientra anche la mancanza di una condizione di procedibilità. In ordine alla ventilata frustrazione delle finalità deflattive non può che richiamarsi la Relazione illustrativa del D.Lgs. n. 36 del 2018, in cui viene affermato che l'art. 11 prevede la conservazione della procedibilità d'ufficio per i reati contro il patrimonio oggetto dell'intervento normativo nei casi in cui ricorrano circostanze aggravanti ad effetto speciale, categoria questa che ricomprende indubbiamente la recidiva qualificata.

L’obiezione che la rilevanza della recidiva qualificata ai fini della procedibilità del reato verrebbe ad incidere sulle posizioni dei coimputati, i quali si troverebbero ad essere assoggettati a un diverso regime di procedibilità per un fatto a loro totalmente estraneo, è del tutto superata alla luce della riformulazione dell’art. 118 c.p., secondo cui le circostanze inerenti alla persona del colpevole sono valutate soltanto riguardo alla persona a cui si riferiscono. Ne consegue che la perseguibilità d’ufficio opererebbe solo nei confronti dei coimputati recidivi, considerato che essa è una circostanza aggravante attinente alle condizioni e qualità personali del colpevole. Una disciplina diversificata della procedibilità rispetto a coimputati del medesimo reato non è peraltro estranea al sistema penale: si pensi, ad esempio, alle ipotesi disciplinate dall'art. 649 c.p., comma 2, (perseguibilità del reato a querela nei confronti dei congiunti ivi indicati e d’ufficio nei confronti dei concorrenti estranei). Può, quindi, affermarsi che il riconoscimento giudiziale, con specifica motivazione, della sussistenza di una circostanza aggravante ad effetto speciale quale la recidiva qualificata determina la procedibilità d'ufficio per i reati indicati nell'art. 649 bis c.p.

Il principio di diritto: Il riferimento alle aggravanti a effetto speciale contenuto nell’art. 649 bis c.p., ai fini della procedibilità d’ufficio, per i delitti menzionati nello stesso articolo, comprende anche la recidiva qualificata - aggravata, pluriaggravata e reiterata- di cui all’art. 99, II, III e IV comma c.p.

 

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