Professione e Mercato

Esame avvocato/20: l'atto giudiziario, i confini della responsabilità della Pa e la giurisdizione del giudice ordinario

Ancora un appuntamento di approfondimento giurisprudenziale per affrontare la terza prova scritta dell'esame

di Nicola Graziano

Continuano gli appuntamenti della rubrica dedicata all’esame di Stato per l’abilitazione all’esercizio della professione forense. Si tratta di una rubrica che, sia pure non intende sostituirsi alla complessa preparazione per l’esame di Stato, mira però a suggerire una serie di spunti di riflessione su argomenti che si reputa debbano essere meglio focalizzati in vista delle prove scritte e in ogni caso utili per sostenere l’esame in qualsiasi variante verrà riproposto in questa persistente fase emergenziale.

Il percorso di oggi porta ad analizzare una questione che potrebbe essere affrontata nella terza prova d’esame dedicata alla redazione di un atto giudiziario. Ne abbiamo scelto ancora una volta una in materia di diritto civile, anche se la questione è a cavallo tra il diritto civile e il diritto amministrativo trattandosi di affrontare una questione di giurisdizione in materia di responsabilità della pubblica amministrazione.

In particolare il caso affronta la problematica della giurisdizione per il danno da affidamento nella condotta della pubblica amministrazione, ogni qual volta si assume che la condotta omissiva della stessa abbia violato i principi di correttezza e buona fede, così ledendo il legittimo affidamento del privato.

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1) La sentenza in esame: Corte suprema di cassazione, sezioni Unite civili, sentenza del 15 gennaio 2021 n. 615


La massima della decisione
Responsabilità della Pa - Responsabilità da comportamento e non da provvedimento - Affidamento del privato - Condotta omissiva della pubblica amministrazione - Violazione dei principi di correttezza e buona fede - Danni - Giurisdizione ordinaria - Sussiste - Fattispecie. (Cc, articolo 1773)
In materia di cassa integrazione spetta al giudice ordinario la controversia relativa alla pretesa risarcitoria dell'imprenditore fondata sulla lesione dell'affidamento riposto nella condotta della Pa, assunta come difforme dai canoni di correttezza e buona fede. Tale responsabilità sorge da un rapporto tra soggetti, pubblica amministrazione e privato, inquadrabile nella responsabilità di tipo contrattuale, secondo lo schema della responsabilità relazionale, o da "contratto sociale qualificato", inteso come fatto idoneo a produrre obbligazioni ex art. 1773 cc., sia nel caso di danno derivante da emanazione e successivo annullamento di un atto ampliativo illegittimo, sia nel caso in cui nessun provvedimento amministrativo sia stato emanato, avendo il privato, (nella specie il datore di lavoro) riposto l'affidamento in un mero comportamento dell'amministrazione (Nella specie il collegio ha dichiarato la giurisdizione ordinaria per il danno subito dal datore per la condotta omissiva tenuta dal ministero rispetto alla richiesta di intervento di CIGS per violazione dei principi di correttezza e buona fede).

 

2) La questione giuridica

In materia di Cigs a chi spetta la giurisdizione nella controversia relativa alla pretesa risarcitoria dell’imprenditore fondata sulla lesione dell’affidamento riposto nella condotta della Pubblica Amministrazione, assunta come difforme dai canoni di correttezza e buona fede?

 

3) Riferimenti normativi: articolo 1173, 1175, 1176 , 1337 e 1773 del Cc; articolo 2 legge n. 205 del 2000;

 

4) Le possibili interpretazioni

A) Il caso in esame

La società Zeta, aveva convenuto in giudizio innanzi al Tribunale di Roma il Ministero del Lavoro e delle Politiche Sociali e l’INPS - Istituto della Previdenza Sociale - per chiederne la condanna al risarcimento del danno conseguito alla condotta omissiva del Ministero rispetto alla richiesta di intervento della Cassa integrazione guadagni straordinaria (anche CIGS, di seguito) per crisi aziendale, presentata in data XY. L’attrice aveva quantificato il danno in euro XXX e, in via subordinata, aveva domandato la condanna dell’INPS al rimborso delle retribuzioni anticipate da essa attrice in relazione ai periodi di sospensione dell'attività lavorativa per i quali non era stato concesso il beneficio assistenziale.

Il Tribunale, respinta la domanda proposta nei confronti dell’Inps, aveva accolto la domanda proposta nei confronti del Ministero limitatamente alla voce di danno corrispondente alle retribuzioni interessate dalle istanze di ammissione al regime della CIGS, oltre accessori.

B) La tesi della giurisdizione del Giudice Amministrativo

La Corte di Appello di Roma, adita in via principale dal Ministero del Lavoro e delle Politiche Sociali e, in via incidentale, dalla Società Zeta, ha accolto l’eccezione di difetto di giurisdizione del giudice ordinario, formulata dall'appellante principale, ha annullato la sentenza di primo grado e ha dichiarato la giurisdizione del Giudice Amministrativo, individuandolo nel TAR del Lazio.

Essa, ricostruiti gli istituti della cassa integrazione guadagni ordinaria e straordinaria, ha ritenuto che i provvedimenti autorizzativi o concessori di competenza, rispettivamente, dell’Inps e del Ministero del Lavoro e delle politiche Sociali si compendiano nell’esercizio di attività amministrativa discrezionale in quanto sono fondati non solo su valutazioni tecniche ma su scelte di natura politico-sociale correlate alla ponderazione dell'interesse pubblico che presiede al governo dell’economia, in tutti i suoi riflessi sociali, occupazionali e produttivi.

Ha, quindi, affermato che rispetto a poteri di tal fatta la posizione del privato (datore di lavoro e lavoratore) è di interesse legittimo, con conseguente attribuzione della controversia relativa ai rapporti che traggono origine dal provvedimento autorizzatorio (o concessorio) alla giurisdizione del giudice amministrativo e che solo successivamente all’emanazione di siffatto provvedimento la posizione del datore di lavoro assume la consistenza di diritto soggettivo all’erogazione del trattamento ed al rimborso delle spese anticipate ai lavoratori, con conseguente attribuzione della relativa controversia alla cognizione del giudice ordinario.

La Corte territoriale, rilevato che nel caso di specie non era stato adottato alcun provvedimento di ammissione alla CIGS, ha qualificato la posizione della società come di interesse legittimo; ha ritenuto irrilevanti, ai fini di tale qualificazione, le circostanze di fatto dedotte dalla società concernenti le vicende fattuali che avevano preceduto la domanda di ammissione alla CIGS e la inerzia tenuta dal Ministero nei confronti delle istanze della stessa società; ha ritenuto, al riguardo, che quest'ultima avrebbe dovuto esperire la procedura disciplinata dall'articolo 2 della legge n. 205 del 2000 avverso il silenzio serbato dall’Amministrazione.

Escluso, poi, che il riparto di giurisdizione possa fondarsi sul criterio della materia o, meglio, dei "blocchi di materia", la Corte territoriale ha affermato che il risarcimento del danno non costituisce una "materia" ma uno strumento di tutela ulteriore, attribuito al giudice amministrativo per rendere piena ed effettiva la tutela dell’interesse legittimo.

C) La esatta individuazione della questione

Va osservato che quanto alla questione di giurisdizione, da una parte, la società ricorrente assume che la controversia rientra nella giurisdizione del giudice ordinario in quanto l'oggetto della domanda giudiziale è costituito dal risarcimento dei danni derivanti dal mancato rispetto dell'affidamento ingenerato dalla condotta tenuta dal Ministero nella fase antecedente l'istanza di intervento della CIGS. Il Ministero, dall'altra parte, asserisce che la controversia rientra nella giurisdizione del giudice amministrativo sul rilievo della assenza di un provvedimento autorizzatorio (o concessorio) della CIGS.

Sennonchè la decisione sulla giurisdizione è determinata dall’oggetto della domanda e non pregiudica le questioni di merito relative alla sussistenza o meno del diritto della società al risarcimento dei danni.

Infatti le Sezioni Unite hanno più volte affermato che la giurisdizione va determinata sulla base della domanda e che, ai fini del relativo riparto tra giudice ordinario e giudice amministrativo, rileva non già la prospettazione compiuta dalle parti, bensì il petitum sostanziale, il quale deve essere identificato non tanto in funzione della concreta pronuncia che si chiede al giudice quanto, piuttosto, della causa petendi , ossia dell'intrinseca natura della posizione dedotta in giudizio ed individuata dal giudice con riguardo ai fatti allegati (tra le molte, Cassazione, Sezioni unite, 20 novembre 2020, n. 26500; Cassazione, Sezioni unite, 28 febbraio 2019, n. 6040; Cassazione, Sezioni unite, 21 dicembre 2018, n. 33212; Cassazione, Sezioni unite, 13 novembre 2018, n. 29081; Cassazione, Sezioni unite, 8 giugno 2016, n. 11711; Cassazione, Sezioni unite, 23 settembre 2013, n. 21677; Cassazione, Sezioni unite, 25 giugno 2010, n. 15323).

Orbene va osservato che ciò che è stato denunciato dalla società ricorrente è il comportamento complessivo tenuto dal Ministero nella fase propedeutica alla richiesta di ammissione alla CIGS e alla valutazione della richiesta stessa, comportamento che è privo di collegamento, anche solo mediato, con l'esercizio di un potere amministrativo in ordine alla concessione della CIGS, potere mai esercitato, come è indiscusso tra le parti.

E ciò che è stato domandato è il risarcimento di un danno da comportamento e non da provvedimento.

La soluzione della questione di giurisdizione nel caso in esame trova valido ausilio nella recente ordinanza 28 aprile 2020, n. 8236 pronunciata da queste Sezioni unite in una fattispecie nella quale veniva in rilievo, come nel caso in esame, la questione di riparto della giurisdizione in ordine alla domanda risarcitoria del danno dedotto come cagionato non da un "provvedimento" ma dal "comportamento" della P.A.

Nella predetta ordinanza è stato affermato il principio secondo cui "Spetta alla giurisdizione dell'autorità giudiziaria ordinaria la controversia relativa ad una pretesa risarcitoria fondata sulla lesione dell'affidamento del privato nell'emanazione di un provvedimento amministrativo a causa di una condotta della pubblica amministrazione che si assume difforme dai canoni di correttezza e buona fede, atteso che la responsabilità della PA per il danno prodotto al privato quale conseguenza della violazione dell'affidamento dal medesimo riposto nella correttezza dell'azione amministrativa sorge da un rapporto tra soggetti (la pubblica amministrazione ed il privato che con questa sia entrato in relazione) inquadrabile nella responsabilità di tipo contrattuale, secondo lo schema della responsabilità relazionale o da "contatto sociale qualificato", inteso come fatto idoneo a produrre obbligazioni ex art. 1173 c.c., e ciò non solo nel caso in cui tale danno derivi dalla emanazione e dal successivo annullamento di un atto ampliativo illegittimo, ma anche nel caso in cui nessun provvedimento amministrativo sia stato emanato, cosicché il privato abbia riposto il proprio affidamento in un mero comportamento dell'amministrazione".

All'affermazione del principio innanzi richiamato, le Sezioni unite sono pervenute muovendo dalle coeve ordinanze del 23 marzo 2011, nn. 6594, 6595 e 6596, nelle quali è stato ritenuto che la controversia relativa ai danni subiti dal privato che abbia fatto incolpevole affidamento su di un provvedimento amministrativo ampliativo della propria sfera giuridica, poi legittimamente annullato (ordinanza n. 6594 del 2011), ovvero sulla attendibilità della attestazione rilasciata dalla P.A., poi rivelatasi erronea (ordinanza n. 6595 del 2011), ovvero in un provvedimento di aggiudicazione, poi rivelatosi illegittimo (ordinanza n. 6596 del 2011), rientra nella giurisdizione del giudice ordinario.

Nella ordinanza n. 8236 del 2020 è stato osservato che nelle predette ordinanze del 2011 (i cui principi erano stati ribaditi nelle decisioni delle Sezioni unite nn. 16586/2015, 12799/2017, 15640/2017, 1654/2018, 4996/2018, 22435/2018, 32365/2018, 4889/2019 e 12635/2019) l'affermazione della giurisdizione del giudice ordinario sulle domande risarcitorie poggiava sul rilievo che esse avevano ad oggetto la lesione non già di un interesse legittimo pretensivo, bensì di un diritto soggettivo, generalmente qualificato come "diritto alla conservazione dell'integrità del patrimonio" leso dalle scelte compiute confidando nella legittimità del provvedimento amministrativo poi caducato.

Principi che, pur con alcune puntualizzazioni, sono stati ribaditi in confronto attento e puntuale con le pronunce di segno opposto delle Sezioni unite nn. 8057/2016, 13454/2017 e 13194/2018, in cui risulta, invece, affermata la giurisdizione del giudice amministrativo sulla domanda risarcitoria per lesione dell'affidamento riposto nella legittimità dell'atto amministrativo poi annullato. Affermazione questa che muove dal duplice rilievo che ciò che veniva in discussione era l'agire provvedimentale nel suo complesso e che la giurisdizione esclusiva del giudice amministrativo si giustifica in ragione del contesto, o dell'ambiente, di stampo pubblicistico, nel quale la complessiva condotta dell'amministrazione si colloca e che connette tale condotta con l'esercizio del potere.

L'adesione all'orientamento espresso nelle sopra richiamate ordinanze del 2011 e nelle successive decisioni conformi è stata spiegata, tra l'altro, rilevando che nel caso in cui, secondo la domanda dell'attore, il comportamento della pubblica amministrazione abbia leso l'affidamento del privato, perché non conforme ai canoni di correttezza e buona fede, non sussiste alcun collegamento nemmeno mediato tra il comportamento dell'amministrazione e l'esercizio del potere.

Ed è stato osservato che il comportamento dell'amministrazione rilevante ai fini dell'affidamento del privato "si pone - e va valutato - su un piano diverso rispetto a quello della scansione degli atti procedimentali che conducono al provvedimento con cui viene esercitato il potere. Detto comportamento si colloca in una dimensione relazionale complessiva tra l'amministrazione e il privato, nel cui ambito un atto provvedimentale di esercizio del potere amministrativo potrebbe mancare del tutto (come nel caso oggetto del presente giudizio) o addirittura essere legittimo, così da risultare «un frammento legittimo di un mosaico connotato da una condotta complessivamente superficiale, violativa dei più elementari obblighi di trasparenza, di attenzione, di diligenza, al cospetto dei quali si stagliano i corrispondenti diritti soggettivi di stampo privatistico (così C.d.S. n. 5/2018»".

È stato anche precisato che i principi enunciati dalle ordinanze nn. 6594, 6595 e 6596 del 2011 valgono non soltanto nel caso di domande di risarcimento del danno da lesione dell'affidamento derivante dalla emanazione e dal successivo annullamento di un atto amministrativo, ma anche, e a maggior ragione, nel caso in cui nessun provvedimento amministrativo sia stato emanato, cosicché, in definitiva, il privato abbia riposto il proprio affidamento in un comportamento mero dell'amministrazione.

Tanto sulla scorta della considerazione che in questo caso l'amministrazione non ha realizzato alcun atto di esercizio del potere amministrativo e il rapporto tra la stessa ed il privato si gioca interamente sul piano del comportamento ("dimensione relazionale complessiva tra l'amministrazione ed il privato"), non esistendo, appunto, alcun provvedimento amministrativo a cui astrattamente imputare la lesione di un interesse legittimo.

D) La decisione della Corte di Cassazione, Sezioni Unite Civili, n. 615/2021

Va osservato, in primo luogo, che la ricostruzione della responsabilità da lesione dell'affidamento del privato entrato in relazione con la pubblica amministrazione in termini di responsabilità da contatto sociale trova forte radicamento nell'art. 1173 c.c. che prevede che "le obbligazioni derivano da contratto o da fatto illecito o da ogni altro atto o fatto idoneo a produrle in conformità dell'ordinamento giuridico".

Il Collegio osserva al riguardo che gli obblighi di buona fede, di protezione e di informazione, imposti dagli artt. 1175 c.c. (correttezza), 1176 c.c. (diligenza) e 1337 c.c. (buona fede), hanno ormai assunto una funzione ed un ambito applicativo più ampi rispetto a quella concepiti dal codice civile del 1942, e non possono essere più considerati strumentali solo alla conclusione di un contratto valido e socialmente utile, ma anche alla tutela del diritto, di derivazione costituzionale (art. 41, comma 1, Cost.), di autodeterminarsi liberamente nelle proprie scelte negoziali, senza subire interferenze illecite derivanti da condotte di terzi connotate da slealtà e scorrettezza.

L'ordinanza n. 8236 del 2020, inoltre, fa leva sulla considerazione che le disposizioni contenute nella l. n. 241 del 1990 (artt. 21-quinquies, 21-nonies, 2-bis, comma 1), pur disciplinando direttamente l'azione amministrativa, la cui violazione inficia la stessa legittimità dell'atto amministrativo, nondimeno vengono in rilievo per il loro carattere sistematico, che orienta progressivamente il nostro ordinamento verso un'idea di "diritto amministrativo paritario" nei casi in cui il danno derivi non dalla violazione delle regole di diritto pubblico che disciplinano l'esercizio del potere amministrativo, ma dalla violazione delle regole di correttezza e buona fede, di diritto privato, cui la pubblica amministrazione è tenuta a conformarsi al pari di qualunque altro soggetto.

E la nozione di diritto amministrativo paritario risulta ancorata all'art. 97 della Costituzione, che postula un modello di pubblica amministrazione permeato dai principi di correttezza e di buona amministrazione e un comportamento dei pubblici poteri consapevole dell'impatto che l'azione amministrativa produce sempre sulla sfera dei cittadini e delle imprese e che per questo deve essere orientato al confronto leale e rispettoso della libertà di determinazione negoziale dei privati.

Infine, il riferimento operato ai principi di diritto comunitario (sono state richiamate CGUE, 3 maggio 1978, C-12/77, Topfer; 14 marzo 2013, C-545/11, Agrargenossenschaft Neuzelle; 23 gennaio 2019, C-419/17, Deza a.s.) è apprezzabile perché attribuisce alla Pubblica Amministrazione una dimensione europea, evocata in modo espresso dal legislatore interno anche nell'art. 1 del d.lgs. n. 165 del 2001, che finalizza l'azione amministrativa alla efficienza, ponendola in relazione a quella dei corrispondenti uffici e servizi dell'Unione europea (così Cassazione, Sezione lavoro, 20 giugno 2016, n. 12678).

In conclusione, in continuità con il principio affermato dalla ordinanza n. 8236 del 2020.

Questi principi trovano applicazione alla fattispecie in esame perché, come già rilevato, la controversia ha ad oggetto la pretesa risarcitoria del danno che la società ricorrente ha fondato sulla avvenuta lesione dell'affidamento riposto dalla società ricorrente nel comportamento tenuto dal Ministero del Lavoro e delle Politiche Sociali nella conduzione e nella gestione della procedura di mobilità, che precedette la richiesta di ammissione alla CIGS, che la ricorrente assume essersi compendiato in comportamenti difformi dai canoni di correttezza e buona fede, comportamenti questi privi di collegamento, anche solo mediato, con l'esercizio, mai attuato, del potere amministrativo correlato alla ammissione al trattamento di CIGS.

Pertanto, va dichiarata la giurisdizione del giudice ordinario.

Il principio di diritto:

In materia di cassa integrazione, ordinaria e straordinaria, spetta alla giurisdizione dell'autorità giudiziaria ordinaria la controversia relativa alla pretesa risarcitoria dell'imprenditore, fondata sulla lesione dell'affidamento riposto nella condotta della pubblica amministrazione, assunta come difforme dai canoni di correttezza e buona fede. La responsabilità della P.A. per il danno prodotto all'imprenditore quale conseguenza della violazione dell'affidamento dal medesimo riposto nella correttezza dell'azione amministrativa sorge da un rapporto tra soggetti (la pubblica amministrazione ed il privato che con questa sia entrato in relazione), inquadrabile nella responsabilità di tipo contrattuale, secondo lo schema della responsabilità relazionale o da "contatto sociale qualificato", inteso come fatto idoneo a produrre obbligazioni ex art. 1173 c.c., e ciò non solo nel caso in cui tale danno derivi dalla emanazione e dal successivo annullamento di un atto ampliativo illegittimo, ma anche nel caso in cui nessun provvedimento amministrativo sia stato emanato, cosicché il datore di lavoro abbia riposto il proprio affidamento in un mero comportamento dell'amministrazione.

 

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